da:"Cinque scritti morali: Quando entra in scena l'altro", di Umberto Eco. ed.passaggi Bompiani.
"(...) E vengo al secondo aneddoto. Ero ancora un giovane cattolico sedicenne, e mi accadde di impegnarmi in un duello verbale con un conoscente più anziano noto come "comunista", nel senso che aveva questo termine nei terribili anni cinquanta. E siccome mi stuzzicava, gli avevo posto la domanda decisiva: come poteva, lui non credente, dare un senso a quella cosa altrimenti insensata che sarebbe stata la propria morte? E lui mi ha risposto:"Chiedendo prima di morire il funerale civile. Così io non ci sono più, ma ho lasciato agli altri un esempio." Credo che anche Lei [il cardinale Carlo Maria Martini] possa ammirare la fede profonda nella continuità della vita, il senso assoluto del dovere che animava quella risposta. Ed è il senso che ha spinto molti non credenti a morire sotto tortura pur di non tradire gli amici, altri a farsi appestare per guarire gli appestati. E' anche talora l'unica cosa che spinge un filosofo a filosofare, uno scrittore a scrivere: lasciare un messaggio nella bottiglia, perchè in qualche modo quello in cui si credeva, o che ci pareva bello, possa essere creduto o appaia bello a coloro che verranno.
E' davvero questo sentimento così forte da giustificare un'etica tanto determinata e inflessibile, tanto saldamente fondata quanto quella di coloro che credono nella morale rivelata, nella sopravvivenza dell'anima, nei premi e nei castighi? Ho cercato di basare i principi di un'etica laica su un fatto naturale (e, come tale, anche per Lei risultato di un progetto divino) quale la nostra corporalità e l'idea che noi sappiamo istintivamente che abbiamo un'anima (o qualcosa che ne fa funzione) solo in virtù della presenza altrui. Dove appare che quella che ho definito come "etica laica" è in fondo un'etica naturale, che neppure il credente disconosce. L'istinto naturale, portato a giusta maturazione e autocoscienza, non è un fondamento che dia garanzie sufficienti? Certo possiamo pensare che non sia sprone sufficiente alla virtù, "tanto", può dire chi non crede, "nessuno saprà del male che sto segretamente facendo". [o distorcendo per farmi assolvere]
Ma badi bene, chi non crede ritiene che nessuno lo osservi dall'alto e quindi sa anche che -proprio per questo - non c'è neppure Qualcuno che possa perdonare. Se sa di aver fatto il male, [e non vi ha posto alcun rimedio. E ciò vale anche per i credenti] la sua solitudine sarà senza limiti, e la sua morte disperata. Tenterà piuttosto, più del credente, il lavacro della confessione pubblica, chiederà il perdono degli altri. Questo lo sa, dall'intimo delle sue fibre, e quindi sa che dovrà in anticipo perdonare gli altri. Altrimenti come si potrebbe spiegare che il rimorso sia un sentimento avvertito anche dai non credenti?..."
Io, credente, ho postato, non a caso, questo brano d'una lettera che Umberto Eco scrisse al cardinale Martini, in risposta ad una domanda che questi gli aveva rivolto.
Non si può non ammirare il livello dell'etica esposta da Eco, vera lezione di onestà intellettuale per tanti scrittori cattolici fondamentalisti nostrani.
Le aggiunte tra parentesi quadre sono mie.
sabato, novembre 24, 2007
NAPOLI CHE MUORE (140): Pensiero laico.
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venerdì, novembre 23, 2007
NAPOLI CHE MUORE (139) : Difficoltà
Branko mi ha fatto arrivare dall'università di Zagabria un corso di lingua italiano-croato, ma io vado molto a rilento. Il passo che segue, un po' folle a causa della scelta forzata di alcune parole, potrà spiegare le mie difficoltà. In effetti qui a volte le vocali sembrano un'inutile perdita di tempo. Provate a pronunciarle voi, se ci riuscite.
Branko ed io comunichiamo in inglese e, poichè entrambi lo parliamo malissimo, riusciamo a capirci perfettamente.
Ciò che leggerete, in sostanza, e a scanso di equivoci, potrebbe davvero essere autobiografico.
Branko, non andare così brz (veloce) con questa barca, mi sta venendo una grc (colica) allo stomaco. Godiamoci piuttosto questa srp (falce) di luna.
Ormai su quel crv (verme) che ti ha fatto ribollire il krv (sangue) ci ho messo su una krst (croce) dopo avergli fatto bere un srk (sorso) dal suo vrc (pitale).
Io adesso punto il prst (dito) verso il rt (capo) di krk (nome di un'isola). Portamici, ma prima abbracciami perchè mi sento molto krt (fragile).
Visto? Roba da scalata dell'Everest! Ma solo per la pronuncia. Del resto non ho proprio di che lamentarmi! Ma con tutti questi demoni del cavolo che stanno introducendo nell'immaginario collettivo, chiamando in causa la famosa frase di Baudelaire sull'astuzia di Satana per convincerci che il diavolo non esiste (sta in decine di blog. Fate una ricerca, se vi interessa.), e dimenticando che l'eccelso poeta era altresì gran fumatore d'oppio!, da buona napoletana, tocco legno per scaramanzia perchè non si può mai sapere dove può giungere l'umana cattiveria.
Pubblicato da Ueuè alle 3:45 PM 25 commenti
Etichette: Baudelaire, collettivo, diavolo
mercoledì, novembre 21, 2007
NAPOLI CHE MUORE (138): Libri
da:"Lo spirito di perfezione di George Roditi. ed. Nuovo Portico Bompiani
"Un'idea astratta era in un certo senso probabile prima di essere stata concepita; non appena espressa, essa diventa di dominio pubblico e il suo autore -bisognerebbe dire: il suo inventore - mantiene nei suoi confronti solo un diritto di precedenza. Ma se nell'espressione di un pensiero lo scrittore è rimasto presente, se lo si riconosce in esso, e vi si ode la sua voce, egli avrà trasmesso al testo la sua complessità infinita di organismo vivente e insieme ad essa una non meno estrema improbabilità. Tali nozioni sono affini a quella di originalità, nella quale alcuni hanno posto il carattere costitutivo della letteratura - ciò che i formalisti russi chiamavano literaturnost. E mi pare che esse mettano meglio in evidenza se un testo si avvicina a questa literaturnost o se ne allontana. Un'originalità voluta non giungerà mai al colmo dell'improbabile, essendo ogni operazione deliberata relativamente semplice; essa non sarà inimitabile, impossibile da ricostruire in un pastiche. E' impossibile soltanto un'arte in cui sussista la singolarità di un essere vivente. In questo senso il genio è vita.
Una simile interpretazione di ciò che è la letteratura rivela uno dei rischi della compiutezza. Perfezionando un testo secondo il gusto classico, correggendolo attraverso soppressioni, per renderlo levigato, nudo, conciso, e sacrificando persino quelle sue bellezze giudicate superflue, non lo si farà meno personale, meno complesso, meno improbabile?
(George Roditi è stato direttore letterario della casa editrice francese Plon).
Ho scelto deliberatamente di postare l'opinione di un uomo di cultura che ha trascorso lunghi anni scegliendo libri da pubblicare per la grande casa editrice francese per cui lavorava.
Con queste poche righe ha mandato a farsi benedire una serie di scrittori contemporanei e le loro scuole di scrittura.
Questo post è dedicato a chi, pur sapendo scrivere, non è disposto a diventare una puttana mediatica, asservita alle varie ideologie e al consumismo editoriale.
Pubblicato da Ueuè alle 8:30 PM 12 commenti
NAPOLI CHE MUORE (137): Flaiano, mon amour: libri
da:"Opere - Scritti postumi" di Ennio Flaiano. ed.Classici Bompiani.
La disattenzione è il modo più diffuso di leggere un libro, ma la maggior parte del libri oggi non sono soltanto letti ma scritti con disattenzione. Oppure con un'attenzione che fa parte dell'intesa autore-lettore. Si legge come si fuma, per tenere occupate le mani e gli occhi. Libri già cominciano a trovarsi abbandonati sui sedili dei treni. Sono stati letti per abitudine, per noia, per orrore del vuoto o di se stessi. Tra i vizi, la lettura, come diceva Valery Larbaud, è il vizio impunito, ma in certi casi smettere di leggere come di fumare può evitare gravi conseguenze.
Si può anche leggere un libro per sospetto e invidia. In questo caso il libro è troppo attraente, si pensa che avremmo potuto scriverlo addirittura noi e guadagnare fama e denaro. Bisognava soltanto pensarci. Si tratta di libri che ottengono grande successo, i "meglio venduti". Di solito centrano un falso problema, una situazione di moda, un punto di interesse e di attualità. Si fanno leggere, ansiosamente, con rabbia, e infine per poter continuare a dubitarne, ma anche per scoprire il segreto della loro gradevolezza. Dopo un paio d'anni, molti di questi libri, quando uno se li ritrova negli scaffali, ha voglia di buttarli via. Il fatto è che sono diventati brutti anche esteriormente, non hanno saputo invecchiare bene. Anzi sono la prova che la bellezza di un libro come oggetto non può prescindere dal suo contenuto. Non c'è infatti sopruso maggiore di un libro stupido rilegato lussuosamente.
Il terzo modo di leggere un libro è il più semplice, ma è proprio dei grandi lettori. Si acquista con l'età, l'esperienza, oppure è un dono che si scopre in se stessi, da ragazzi, con la rivelazione delle prime letture. Si tratta di non abbandonare mai "quel" libro, di lasciarlo e riprenderlo, di "andarci a letto". Ma poichè questo modo è suggerito soltanto dai grandi autori, col tempo si resta circondati soltanto da ottimi libri. E si diventa perfidi, si arriva a capire un libro nuovo ad apertura di pagina, a liberarsene subito. E se invece il libro convince, a lasciarlo per qualche tempo sempre a portata di mano, sul tavolo o sul comodino, poichè la sua sola vista procura un vero piacere, nè si teme di finirlo presto: lo scopo di questi libri e infatti di essere riletti, di farsi riprendere quando tutto va male, quando ci sembra che la verità possa esserci confermata non da quello che succede intorno a noi, ma da quello che è nelle pagine di un libro.
Tutti i grandi libri sono stati letti e continuano ad essere letti così. E' più esatto dire che non si tratta di leggerli, ma di abitarli, di sentirseli addosso. Facendone il conto, ognuno trova che i suoi si riducono a un centinaio, largheggiando. E molti di essi hanno aspettato anni e anni prima di essere ripresi, in un giorno di particolare disgusto esistenziale. Ma è la loro forza.
["Corriere della Sera", 27.1.1972]
Per chi ha la passione dei libri è difficile non essere d'accordo con Flaiano, specialmente oggi che l'editoria ha applicato il criterio "usa e getta" anche a molte collane.
Personalmente ho sempre trattato i miei libri come amanti. Ci ho dormito insieme per anni, svegliandomi in piena notte, accendendo la luce e riprendendone uno in mano. Qualcuno ne fu persino geloso, e forse non a torto.
Pubblicato da Ueuè alle 4:40 PM 14 commenti
lunedì, novembre 19, 2007
NAPOLI CHE MUORE (136): Poeti di strada
NARCISO WEB di Viola d'amore
Nulla so ancora
del tuo spedire
a servi ruffiani
la mia figura nelle tue mani
Fottere e piangere
è il tuo vizio preferito
fotti di notte
di giorno sei pentito
piangi sul tuo martirio
e lo chiami delirio:
donne morenti
mai riconosciute
consumate nel web
rimasuglie invendute
te ne nutri al computer
prometti il paradiso
le trascini all'inferno
solo
col tuo narciso
Nulla so ancora
accetto la pazzia
di rimanere insieme
... e già sto andando via.
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domenica, novembre 18, 2007
NAPOLI CHE MUORE (135): Errebì
da:"La curva dell'angolo" di Maria Rosaria Ribolla (romanzo inedito. Per gentile concessione dell'autore).
"Mettete un barboncino anelli anelli, un piccolo Riace niro niro, Eracles miniaturizzato da un Mabuse che gli ha fatto un bagno nell'allume. Mettete un destino giocherellone che ha deciso di piazzare il gingillo sul cammino di una moglie ripudiata e bisognosa di scorta per uscire la sera, giusto per non essere rapinata da qualche drogato di passaggio. Questo gioiello di minuscola perfezione, specializzato in donne separate, addestratissimo a tutte le nevrosi, Angela lo aveva conosciuto ad una mostra, una sera che non aveva voglia di parlare e se ne stava seduta su uno scalino.
"Tu vivi a Napoli?"
"Sì".
"Beata te, Sai dove vivo io?", e fece il nome d'un paesino dell'entroterra.
"Tu in che strada abiti?"
Lei glielo disse.
"Mi fai sentire molto inferiore".
"A me sembri un po' buffo".
"Una volta abitavamo in città, avevamo una casa in centro," sospirò "me la sogno ancora tutte le notti. Nella stessa strada avevamo anche un negozio di articoli sportivi e ce la passavamo bene. Poi un maledetto giorno mio fratello decise di portarsi a letto la ragazza che abitava nel palazzo di fronte, e allora cominciò la nostra tragedia perchè perdemmo la pace. La madre della ragazza, sai come sono queste mamme napoletane, veniva a farci chiassate sotto il portone e dentro il magazzino, facendo rivoltare tutto il quartiere. Urli, scenate e botte, ci furono querele e denunce. Papà, avvilito, si metteva paura anche di uscire. Gli venne un infarto, insomma un inferno, non potevamo più lavorare. E fummo costretti a liquidare casa e negozio e a trasferirci in una rustica casa di paese".
"E tutto questo per una scopata di tuo fratello?"
"Proprio così". Errebì, (robbabbona) le aveva a lungo guardato i piedi prima d'andarsene.
In quel periodo Angela era talmente giù che lui, Errebì, era un piccolo uomo giusto, giunto al momento giusto, perchè le presentò tante persone, numerosi ex-ex, gente che aveva chiuso con qualcosa, in attesa di un successo dentro un panariello che prima o poi sarebbe calato dal cielo. Ed essendo anche lei una ex-ex, cercò subito di allinearsi, ma risultò difficile.
E quando se ne lamentava con lui:
"Secondo te perchè ce l'hanno con me? Pare che ogni serata debba finire in una rissa".
"Ce l'hanno con te perchè sei un'abusiva," spiegava il ninnolo " e comunque lo devi sopportare, perchè altrimenti resti sola". E le guardava puntigliosamente i piedi.
Quei suoi straletti, le battutelle cattive, la colpivano come spillini, facendola spesso sentire una miserabile. Ma c'erano serate in cui Errebì sapeva farla ridere sino alle lacrime, col suo umorismo cattivo e intelligente.
Errebì sogna donne altissime, con scarpe numero quaranta, socialmente affermate, che lo rapiscano nel cavo di una mano per portarlo su, su, a quelle altezze che la taglia gli impedisce di raggiungere.
Una volta Angela gli aveva confessato la sua paura di saltare in aria per quella puzza di benzina in macchina.
Giovanni mancava più che mai, perchè li aveva sempre risolti lui tutti i problemi di manutenzione. E una mattina che il rubinetto del lavandino non bloccava più l'acqua, lei s'era sentito tutto il mondo crollarle addosso.
D'accordo, i numeri transfiniti di Cantor, il teorema di Goedel, la relatività di Einstein, l'Ulysse di Joyce e il Tao-teh-ching, ma lei un modulo di vaglia non lo sapeva riempire, e un giorno era rimasta sgomenta nell'ufficio postale, con tutta quella fila di gente dietro che le portava fretta.
"Errebì, mi vuoi dare una mano?"
Giù nel garage avevano buttato sottosopra cinghie, sportellini e tappi, e poi, quello che chiude il serbatoio del liquido per lavare i vetri, -ma perchè l'aveva svitato quel cretino?, gli era sfuggito di mano andandosi a nascondere in una dannata e irraggiungibile fessura, evento non previsto dai progettisti della vettura.
E allora lei si era rivoltata come una belva cui avessero dato una martellata sulla coda, perchè Giovanni non se lo sarebbe mai fatto sfuggire di mano, il tappo, e questa specie di nano è un deficiente, un idiota, e adesso come si fa?
"Proviamo con quello della Coca cola".
Ma ovviamente non s'avvitava, e nemmeno quello del latte detergente, nè intorno al foro s'appiccicò il nastro adesivo.
"Sei una bestia, un incapace. E adesso non te ne vai, non mi lasci sino a che non hai rimediato".
"Non posso mica diventare tappo". E accorgendosi di quanto aveva detto, sfilò la manina dal cofano e cominciò a fissarla scocciatissimo.
"Non te vai, hai capito? Voglio il tappo mio!"
"E che fa se guidi senza tappo?"
"Come che fa, come ti permetti? Voglio il mio tappo, hai capito? Adesso usciamo e me lo compri nuovo".
"Ma di sabato pomeriggio gli autoricambi sono chiusi".
"Io me ne infischio. Voglio il tappo mio".
Benzinai, meccanici, gommisti, tutti guardavano stupefatti quella vipera che strapazzava Ercolino per un tappo.
"Adesso giriamo tutta la città sino a che non lo troviamo, hai capito? E tu non mi abbandoni in mezzo ai guai, è chiaro? Perchè io senza tappo non ci voglio stare".
Ma poi Errebì s'era avvicinato a un carrettino , aveva comprato tutti fiori e li aveva messi nella macchina sbottando:
"Bastano per questa schifezza di tappo?"
E lei, isterica, giù a singhiozzare e a supplicarlo di perdonarla, un amico deve perdonare, diceva, ben sapendo che lui avrebbe sì, perdonato, ma solo sino alla prossima freccetta avvelenata. E 'sto tirammolla di vita è solo energia che scarichiamo addosso a chi ci capita sotto, devono essere tutte isteriche le donne separate, non era uno specialista, lui, in dopodrammi familiari?, e magari lei avrebbe anche avuto bisogno di fare l'amore, ma che ci poteva fare se non trovava un tappo giusto?, era ancora tutta agganciata a Giovammi, il maledetto, benchè non lo si potesse ritenere certo un campione sportivo del sesso, ma lei era una che ci credeva ancora nei sentimenti, e lo amava ancora, quel pazzo fottuto, ma come si fa ad amare uno che si disprezza?
"Senti," disse il balocco che aveva ripreso baldanza e s'era messo alla guida dell'auto "potresti dirmi che numero di scarpe porti?"
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Etichette: donne, ninnolo. maledetto, tappo
sabato, novembre 17, 2007
NAPOLI CHE MUORE (134): Filastrocca
Un solo gallo con sette galline
rossi ha bargigli di finta passione
tutte le struscia e seduce col canto
sempre lo stesso per tutte e sette
sette pollastre che lui non vede
guarda la chioccia che sta covando
non gli riesce di farla girare
messa in disparte cova il destino
Un solo gallo e sette galline
che quando stanche vanno a dormire
lui con il sole tornato a valle
va dalla chioccia che vuole coprire
mentre la monta le becca il collo
quando si volta non può vederla
s'è fatto buio dentro al pollaio.
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venerdì, novembre 16, 2007
NAPOLI CHE MUORE (133): Le napoletane? Le più sexy: i partner pensano solo a fare la spesa - Corriere del Mezzogiorno Campania
Le napoletane? Le più sexy: i partner pensano solo a fare la spesa - Corriere del Mezzogiorno Campania
Mi compiaccio vivamente per questa distinzione di "più sexy". Ma per il resto, mi spiace, io non sono per niente d'accordo. Mi mortifica la necessità di dovermi esporre col culo da fuori, bardato di merletti, per risvegliare un uomo che ho ibernato. Io di un uomo così cretino, e così condizionato, non so proprio che farne. Così come non so che fare di uno che mi fa la spesa al supermercato, a discapito del suo desiderio che dovrebbe risvegliarsi solo al calore del mio, senza bisogno di giarrettiere con la rosellina. Esigo molto? Ebbene sì. Perchè? Perchè ho coscienza di saper dare in cambio anche di più, anche la vita, se necessario, anche la dannazione, -si fa per dire- se incontro l'uomo giusto che non sbiadisce sotto le lenzuola. Ma è scambio d'amore non di utilità di supermarket. E questo le donne dovrebbero tenerlo ben presente, a rischio di spezzarsi la schiena di fatica, per poi essere ampiamente ripagate a letto, se non vogliono fare del loro uomo un regredito, un solitario alla ricerca delle più strambe gratificazioni. Mantenerlo caldo, e in amore, bisogna. E se non ci va, meglio allontanarlo dalla nostra vita egoista, lasciandolo libero di fare la sua legittima cerca. Punto.
Pubblicato da Ueuè alle 1:40 AM 12 commenti
Etichette: dannazione, sexy, spermercato
giovedì, novembre 15, 2007
NAPOLI CHE MUORE (132): Fantavita.
Io adoro l'arguzia, insieme alla satira, all'ironia e all'umorismo che si sono trasformati in un calderone di gratuite volgarità. Perciò bisogna andare a pescare nel passato, per ritrovare questi valori ormai moribondi. Ed io ho rispolverato un vecchio libro, dono di mio fratello, dal quale ho raccolto questo stralcio che sembra estrapolato da un racconto umoristico di fantascienza, e m'ha lasciato dentro tenera nostalgia di ciò che non fatto in tempo a conoscere.
da:"Fiori per io" di Gianna Preda, ed. Sperling & Kupfer
"Le prime intuizioni sui tanti misteri del sesso le ebbi quando il confessore del collegio mi fece certe insistenti e particolareggiate domande, che sembravano un vero e proprio interrogatorio, sui miei pensieri, sulle mie eventuali azioni e anche sull'uso che facevo delle mie mani, vuoi sul mio corpo vuoi su quello di qualche compagna. Io, difatti, avevo sentito la necessità, perchè in quel tribunale segreto non si poteva mentire, di confessare quel bacio a tradimento, sebbene mi avesse dato un po' di voltastomaco. Purtroppo non riuscii a spiegare bene la mia ripulsa, tant'è che il confessore si convinse che io dovevo aver tratto, da quell'esperienza improvvisa e imprevedibile, un qualche piacere. Così da dietro la fitta grata mi arrivarono sventagliate di duri ammonimenti contro gli atti impuri e contro le tentazioni della carne.
A proposito di carne, io ero allora impegnata a risolvere un altro mistero: quello della carne di pollo. Il pennuto, difatti, faceva parte dei cibi delle feste comandate, insieme con dolciumi informi, ma buonissimi. Senonchè, in tutti i pranzi festivi, ad ogni educanda, ed eravamo più di cinquanta, toccava il cosiddetto "boccone del prete": mai che a qualcuno capitasse una coscia, un mezzo petto o un'anca. Per noi, i polli arrosto che mangiavamo, erano strane creature tutto culo, anche se questo veniva reputato una prelibatezza dai preti, per motivi oscurissimi. Comunque, a conti fatti, arrivai alla conclusione che tutte le parti obiettivamente migliori di quei polli venivano ingurgitate di nascosto dalle suore e dai preti, ma quando mi feci portavoce delle proteste delle mie compagne, ormai nauseate da tanti culi di pollo, il menu delle feste venne cambiato prontamente e, anzi, a nessuna toccò più il "boccone del prete".
Questo, dunque, era allora il mio problema della carne; ma non riuscii a convincere il confessore della mia indifferenza per gli atti impuri, che mi parvero persino insensati quando mi resi conto, dalle sue domande specifiche, come avrei potuto peccare con le mani o con la bocca.
L'ignoranza sugli enigmi sessuali non limitava però la nostra immaginazione e il nostro gusto di vivere, sia pure in cattività. Eravamo innocenti, curiose, contente, incazzate e sprovvedute. Molte di noi, e io ero fra quelle, non sapevano nemmeno che cosa fossero le mestruazioni o "il ciclo". Per tre di noi, tuttavia, questa inconsapevolezza si trasformò in dramma la mattina in cui io, Lucia Massani e Rosanna Pezzi ci svegliammo in un mare di sangue. Io ero convinta che, nottetempo, un qualche malvagio folletto mi avesse scannata, e reagii a quella mutazione fisiologica con tante urla che le suore mandarono a chiamare i miei genitori. Mio padre, che era pudico, non mi guardò in faccia. Era in preda a un disagio profondo come se si vergognasse di me o per me. Mia madre invece prese il toro per le corna e con voce tesa mi disse:
"Non è niente. Vuol dire che sei diventata donna e da ora in poi potrai mettere al mondo dei figli".
Piombai in una confusione di idee ancora più fitta e trassi da quella succinta informazione congetture tanto ingarbugliate che in quella stessa estate, durante la villeggiatura a Riccione, quando un ragazzo di pelo rosso, con il pretesto di insegnarmi a nuotare, mi abbracciò e mi baciò convulsamente in acqua, io credetti d'essere rimasta incinta".
martedì, novembre 13, 2007
NAPOLI CHE MUORE (131): Lettere d'amore (2)
Questa volta è lei Anais che scrive a Miller. Spesso, quando stiamo per innamorarci, sentiamo un gran bisogno di descriverci, affinchè le nostre aspettative non vengano deluse. Ciò che poi molto spesso accade. E' come se uno dicesse: guarda che io sono così. mi piace questo e ho bisogno di questo. Ma l'altro, se ciò che voi chiedete non fa parte della sua esperienza, prenderà sempre lucciole per lanterne. Il grande seduttore, il cui scopo è soltanto quello di ridurre l'altro a preda, saprà come accogliere la richiesta. Ma costui non rientra nella seduzione di cui scrive Baudrillard, la cui azione e il cui effetto prescinde dalla volontà e dalle intenzioni dei chiamati in causa.
Anais Nin in questa lettera si descrive, poi si contraddice, poi conclude con l'inizio camuffandolo, per non compromettere l'amore che sta nascendo, e le sue incognite.
...Un uomo che domina è un uomo che non ama, è dotato di una terribile vitalità animalesca, di una forza che conquista. Lui conquista, la gente gli si assoggetta, ma lui mai ama nè comprende. E' null'altro che una forza ed è pieno del proprio vigore. Se mai ama, ama una forza come se stesso, sicchè, una volta ancora, ama il proprio tipo di forza, non l'altra, che è un'infiltrazione. Osserva attentamente il conquistatore, osserva l'uomo o la donna che dominano altri: non è una persona che ama. Colui che ama è colui che è dominato. Chi mi ama non può dominarmi e io, essendo una donna, cerco dominazione.
Ma oramai è cosa passata. Vedo ciò come una forza impersonale, una forza animale, che non ha più potere su di me. Ormai addirittura la odio. Detesto la mancanza di acume che la contraddistingue!
E a volte, poi, sai, quel potere con cui uno nasce non è in accordo coi propri desideri, è estraneo al proprio io. A volte ho sospettato che Alan [uno di cui era sta infatuata prima di incontrare Miller] fosse infastidito dagli effetti della sua forza. Essere amato lusinga la sua vanità, certo, ma in realtà lui non ha bisogno d'essere amato perchè chi è amato deve a sua volta amare, e questo lui non può farlo. Le donne commettono l'errore di amarlo perchè ne sono dominate. Dentro di sè Alan preferisce che gli si opponga resistenza, sul suo stesso terreno, quasi con un'indifferenza all'amore che tu e io comprendiamo benissimo, con una certa durezza. Detesta il modo in cui le donne si sciolgono al suo cospetto, sì, lo detesta...
Ignoro che cosa ricaverai da questo, perchè una simile "aridità" è remotissima dal tuo carattere. Sebbene io ritenga che anche tu sia in grado di distruggere una donna, ma per altri motivi".
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In realtà questi due non poterono sedursi l'un l'altro, perchè, a seguito di fattori contingenti e imprevedibili, la loro storia fu determinata dalla Seduzione stessa, quindi, come sostiene Baudrillard, al di là della loro volontà individuale. Si tratta di ciò che spesso chiamiamo destino.
Pubblicato da Ueuè alle 12:30 PM 8 commenti
NAPOLI CHE MUORE (130): Lettere d'amore (1)
Lui, un americano un po' rustico, con un talento straordinario di scrittore. Scrive anche lei, bravissima, innamorata della scrittura, e con una capacità d'amare eccezionale.
Henry Miller e Anais Nin.
Un amore intenso, capriccioso, duraturo, fatto di brama e di amicizia.
E questo è uno stralcio da una lettera che le scrive Henry, tratta da:"Storia di una passione", il loro epistolario edito da Bompiani.
"...Mi dispiace moltissimo di averti deluso, ieri. Ma, te lo ripeto, per me è tutto confuso e misterioso. Sono venuto da te di ottimo umore, con l'intenzione di stringerti immediatamente tra le braccia e di amarti tanto da morirne. E poi, come sempre accade - non è certo una novità!- metto il piede in casa tua e ho la precisa sensazione di essere un ospite, sia pure molto privilegiato. Non è casa mia, e tu non sei mia moglie. Tu stai lì, sull'uscio aperto, e io vedo sempre una principessa che, per chissà quale segreto capriccio, ha accondisceso a farmi dono del suo amore. Mi sento un nessuno. Potrei essere un X qualunque. Ogni cosa è un dono, e mi sento in preda a una stupida sensibilità, e dico a me stesso che qui è meraviglioso e che niente qui è reale, che è tutto un sogno. E se lo dico è perchè, pur sapendo che mi merito un tantino dalla vita, non mi merito tutto quello che mi dai. E anche se parlo tanto di me stesso -e facendolo chissà quanto ti annoio-, con ogni probabilità accade perchè tento, con le parole, di inserirmi nella realtà di tutto ciò che tu mi offri standotene lì, sulla soglia a salutarmi. Non sai che gran momento sia quello, sempre, per me. E poi divento così umano da diventare delicato. E così è accaduto ieri...la mia insensibilità era delicatezza. Avevo fame di te. Avrei voluto strapparti di dosso gli abiti, quando mi hai ricondotto all'amaca; avrei voluto divorarti. E invece me ne sto lì di fronte a te e chiacchero...Ma quel che avrei davvero voluto, sarebbe stato di stenderti sull'erba e perdermi con te. Sì, continuo a essere naif e goffo..."
Pubblicato da Ueuè alle 2:30 AM 14 commenti
Etichette: casa, principessa, qualunque
lunedì, novembre 12, 2007
NAPOLI CHE MUORE (129): Il futuro
da:"Breve storia del futuro" di Jacques Attali, ora uscito anche in italiano per l'editore Fazi.
Certi libri scomodi dovremmo imparare a sciropparceli, se abbiamo figli e nipoti, e soprattutto se non avversiamo i nostri simili al punto da auspicarne la fine al più presto.
250.000 francesi l'hanno già fatto.
Questo libro, duro da digerire, scritto da un uomo che è appartenuto a una sinistra ormai alla deriva, direttore di Planet Finance, una ong per la diffusione della microfinanza nei paesi in via di sviluppo che ha sostenuto anche i progetti del premio Nobel Muhammad Yunus, prevede la storia del nostro futuro prossimo, tutt'altro che allegra, ma termina con una visione iperdemocratica planetaria, dopo una serie di inevitabili conflitti. E non solo. L'autore, per onestà intellettuale, mette anche in discussione le proprie previsioni, che possono scaturire soltanto da riflessioni sul presente, tenendo in giusto conto qualche possibile fattore imprevedibile, di cui fornisce esempi calzanti. Per esempio: "...se a Serajevo, nel giugno del 1914, un assassino avesse mancato il suo bersaglio, la prima guerra mondiale non sarebbe scoppiata, in ogni caso non nello stesso modo. Se nel giugno del 1941 Hitler non avesse invaso la Russia, avrebbe potuto, come il generale Franco, morire al potere e nel suo letto. Se il Giappone, quello stesso anno, avesse attaccato lUnione Sovietica invece che gli Stati Uniti, questi forse non sarebbero entrati in guerra e non avrebbero liberato l'Europa, così come in seguito non hanno mai liberato nè la Spagna nè la Polonia.
Così, forse, la Francia, l'Italia e il resto dell'Europa sarebbero rimasti sotto il giogo hitleriano almeno sino alla fine degli anni Settanta..."
Non è un libro che fa certo sognare, perchè tenta di responsabilizzare chi lo legge, ma lascia una porta aperta, quella che ci occorre per non soccombere sotto gli strali dei profeti dell'irreversibile che odiano l'umanità, spesso, purtroppo, in nome di Dio.
C'è anche una postfazione dedicata all'Italia, alla sua storia, e a quello che dovrebbe fare per riprendersi.
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domenica, novembre 11, 2007
NAPOLI CHE MUORE (128): Io ti faccio
Io ti faccio
qui nell'universo
di casa mia
nigredo di silenzio
che purifica
Nei miei gesti ti faccio
e nel respiro
nel bruno autunno che avanza
nel seme tumescente della rosa
che già canta in giardino
Nei due falchi ti faccio
volai con loro
un pomeriggio azzurro
ed estasi fu il nome della danza
Nel cristallo che pulsa
ti faccio
quando la mano che lo contiene
è contenuta dalla tua mano
e tutto contenendo
mi dissolvi
e con me il dubbio:
E solo Amore
e Gloria
esistono.
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sabato, novembre 10, 2007
NAPOLI CHE MUORE (127):Apocalisse da cocaina
In principio era la droga
e la droga era presso l'uomo
e la droga era l'uomo.
......................................................................................................................................................................
da:"Un fiume di cocaina" di Furio Ravera, ed. BUR
"(...) La cocaina si insinua in un'area di inadeguatezza delle persone. Questa inadeguatezza non riguarda l'intelligenza che, per quanto importante, rappresenta solo una parte della vita psichica delle persone ma il modo con cui una persona riesce a farsi un'idea di sè, degli altri e delle emozioni che sperimenta nelle varie occasioni della vita.
"(...) Tutto è mescolato insieme nel convincimento che ciò che si desidera si realizzerà solo per il fatto stesso di averlo desiderato. Non ci troviamo di fronte a una semplificazione o a una fantasia onnipotente, ci troviamo di fronte a un modo di funzionare che è rimasto nelle pieghe della personalità e che la droga ha rialimentato e rinvigorito. E' come trovarsi di fronte alla resuscitazione di un fossile, di un organismo appartenente ad un'era preistorica. Questo animale "mitologico" è un bambino fuso e confuso con una madre che ha a tutto provveduto, tranne che alla sua crescita come individuo.
"(...) Un luogo comune circa la cocaina riguarda il suo effetto sul piacere sessuale. Non c'è dubbio che l'eccitamento, l'euforia e la disinibizione che essa produce favorisca l'attività sessuale e renda più intenso il piacere, ma quest'effetto è di breve durata perchè con il procedere nell'uso della cocaina si verifica una riduzione del desiderio e la stessa viene impiegata per ottenere un piacere più difficilmente raggiungibile...Contemporaneamente si osserva una ricerca di situazioni di tipo sessuale caratterizzate da forte trasgressività come se fossero liberati degli istinti che dormivano nel buio della coscienza...la cocaina è completamento di situazioni orgiastiche e di ricerca di un sesso diverso...La sessualità può assumere un tratto di tipo ossessivo, la mente, cioè, viene popolata di immagini fisse che assillano come desideri che non trovano mai soddisfazione...Il sesso rappresenta un'area di esperienza molto significativa perchè comprende molti sentimenti, molte emozioni e molte credenze.
"(...) Non è possibile escludere a priori che una persona che si avvicina alla cocaina non andrà incontro allo sviluppo di idee persecutorie e a scoppi di violenza.... I tabù e il senso del sacro, il sentimento di inviolabilità nei confronti di un oggetto o di una persona si basano proprio sulla capacità di riconoscere una differenza e sulla capacità di rispettarla.
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Resto sempre più convinta, oramai, che ciò che viene chiamato "satanismo" e suoi derivati sia ingenerato dalla droga e non il contrario, come alcuni vogliono farci credere.
La cocaina, nella fattispecie, riduce chi la assume ad uno stato paranoico con deliri di potenza e manie persecutorie che si alternano a stati di profonda depressione e a visioni apocalittiche. Le meningi bruciate dalla droga sono incapaci di umorismo e di speranza.
Se c'è mai stato un anticristo, quindi, non può essere che questa sostanza maledetta, frutto del materialismo, anche di quello spirituale, che sta facendo marcire i meglio cervelli della civiltà occidentale, senza una vera volontà politica che vi si opponga. Purtroppo.Ma anzichè continuare a piangere sul mondo che sta morendo, ricordiamoci le parole di Heidegger:"Il terribile è già accaduto."
Bene, se è già accaduto, muoviamoci, fanculo i demoni, ripuliamoci un po' e rimbocchiamoci le maniche.
venerdì, novembre 09, 2007
NAPOLI CHE MUORE (126): La mia cittadella
"Ho sempre pensato che non bisogna aver paura del Male che c'è nel mondo, ma del Bene che manca".
(don Benzi)
Dedicata ad un Cristiano poco cristiano
Ho la mia cittadella
diglielo ai tuoi demoni
che dell'amore
fecero canzonette
d'ogni giardino
calpestando i fiori
Diglielo che la mia cittadella
ha nome ossimoro
e che un muro di fuoco la protegge
dagli orribili incubi
lerciume immondo
che voleva uccidermi
Digli che questo fuoco
è una frescura
Guardo il tempo che invola
i frutti d' illusioni
che tu chiami sogni
un gioco di prestigio
così sporco e crudele:
è così giusto, il tempo
orologio di Dio
Amare è privilegio dei poeti
non dell'ossesso che divide
produttore di mali e di dolori
Diglielo che i poeti sono fragili
quando lasciano la dimora
e portano la gioia
benchè un poeta
nulla tolga a questo mondo denso
e preoccupato
Diglielo che i poeti son mezzi angeli
e mezzi pazzi
e hanno musica che risveglia
l'uomo che è pronto
ma lui soltanto
e nè distanza nè tempo
può distruggerli.
Spiega che questo è privilegio
amore che si dona
incarnandosi
spreco per mani avide
e vuote
che non sanno credere
nè rischiare
nè dire ti amo
e nemmeno grazie.
Diglielo
e rimettiti in fila
e prega
e aspetta
e intanto scaldati
al tepore delle mie lacrime.
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giovedì, novembre 08, 2007
NAPOLI CHE MUORE (125): La Madre di Dio
da:"Settantadue volte" di Maria Rosaria Ribolla
Ripercorreva le tappe della vita d'una donna ch'era passata alla Storia come la madre di Dio. Le tappe umane, reali e quotidiane, nelle quali ognuna poteva facilmente identificarsi. L'annuncio della maternità, il parto, la fuga per proteggere il figlio, l'orgogliosa esposizione del suo frutto, custodito amorevolmente tra le braccia. L'amarezza di vederlo andar via, chiamato da qualcosa che sta oltre di lei.
E poi il dolore che l'invecchia di colpo, lo strazio di vederlo soffrire, impotente a soccorrerlo: l'essere costretta a staccarsi dal suo corpo che deve seguire il suo destino. Il rientro nel quotidiano, mutilata nella sua parte più viva, più amata. Destino di molte, di troppe donne. Un fiume inarrestabile di dolore che non si ferma mai, che va non si sa dove.
Ma c'era un'altra storia dietro quelle immagini, un'altra storia misteriosa che nessun linguaggio, nessuna rappresentazione, era in grado di riferire. Pura poesia che si dona soltanto a chi è pronto a riceverla, a chi non oppone la resistenza del ragionamento, o del fanatismo.
Era la storia della seduzione di quella donna, una cosa di cui lei stessa non era stata consapevole. Era questo che faceva di lei una Vergine, Lei, la più seducente di tutte. Lei che aveva sedotto Dio.
Sopraffatta da un mistero impronunciabile, s'era piegata alla Sua forza, lasciandosi trascinare in una vertigine che andava oltre l'umano.
La più seducente, la più inconsapevole, la più Vergine di tutte, e la più elusiva.
Gli uomini, cacciatori di misteri, assassini dell'incertezza, avevano dato delle connotazioni reali a quel sortilegio, per spogliarlo di tutta la sua indeterminatezza. E di quel mistero avevano fatto una specie di fumetto iperreale.
Evidente la loro paura in tutta quella messa in scena: avevano imprigionato quella Vergine in un sortilegio fittizio, perchè quello vero era troppo sfuggente, si perdeva nell'enigma della seduzione.
Anche lì c'era sta un'appropriazione, indebita come tutte le appropriazioni.
Lei adesso capiva, oscuramente capiva, quell'arcano che gli uomini avevano tentato di circoscrivere, quel mistero fuori dal tempo. Era proprio custodito nell'incertezza, nella libertà di scoprirselo da soli, il suo grande fascino, nella sua ambiguità tutto il suo valore che trascendeva le rappresentazioni, questa breve storia terrena, quanto Le era stato volgarmente imposto dagli uomini.
Forse nell'oscura percezione di quel segreto stava nascendo la preghiera, un segno di così alto riconoscimento da smarrircisi dentro, incantati dalla sua fiaba.
mercoledì, novembre 07, 2007
NAPOLI CHE MUORE (124) La seduzione
da:"Della seduzione" di Jean Baudrillard, ed.Biblioteca Cappelli
Il femminile non è soltanto seduzione, è anche sfida al maschile a essere il sesso, ad assumersi il monopolio del sesso e del godimento, sfida a portare fino in fondo la propria egemonia e ad esercitarla fino a morirne.Non potendo accettarla, la fallocrazia oggi crolla rovinosamente proprio sotto la spinta di questa sfida, che ha continuato a tormentarla incessantemente lungo tutta la storia sessuale della nostra cultura. E' possibile che contemporaneamente crolli anche tutta la nostra concezione della sessualità, costruitasi attorno alla funzione fallica e alla definizione positiva del sesso. Ogni forma positiva si adatta e convive benissimo con la forma negativa corrispondente, ma non ha scampo di fronte alla sfida mortale della forma reversibile. Ogni struttura si adatta e assorbe l'inversione o la sovversione, ma non la reversione dei suoi termini. Questa forma reversibile è quella della seduzione.
(...) E' quello che traspare nel gioco più banale della seduzione: mi ritraggo, non mi farai godere, sono io che ti farò giocare e che ti sottrarrò al tuo godimento. Gioco mobile, di cui è falso supporre che sia solo strategia sessuale. Strategia di spostamento, piuttosto (se-ducere: trarre in disparte, far deviare dalla propria strada), confusione sviante della verità del sesso: giocare non è godere. C'è in questo una specie di sovranità della seduzione, che è una passione e un gioco dell'ordine del segno; e a lungo andare è lei a vincere, perchè è un ordine reversibile e indeterminato.
Il prestigio della seduzione è superiore alla consolazione cristiana del godimento. Ci vogliono far credere che si tratti di un fine naturale -e molti impazziscono perchè non riescono a raggiungerlo. Ma amare non ha niente in comune con una pulsione, se non nel modello libidico della nostra cultura -amare è una sfida e una posta in gioco: sfida all'altro ad amare a sua volta. Essere sedotti è sfidare l'altro a esserlo (non esiste argomentazione più sottile di quella in cui si accusa una donna di essere incapace di venir sedotta). La perversione, sotto questo aspetto, assume un altro significato: far finta di essere sedotti, senza esserlo, e restando incapaci di esserlo.
La legge della seduzione è innanzi tutto quella di uno scambio rituale ininterrotto, un gioco al rialzo in cui i giochi di chi seduce e di chi è sedotto non sono mai definiti, poichè resta indecifrabile la linea di demarcazione che dovrebbe designare la vittoria dell'uno e la disfatta dell'altro. E a questa sfida non c'è limite: sfida all'altro a lasciarsi sedurre ancora di più o ad amare più di quanto sia amato, pena la morte. Al contrario, il sessuale ha un fine prossimo e banale: il godimento, forma immediata di compimento del desiderio.
(...) Il trompe-l'oeil toglie una dimensione allo spazio reale: questa la sua seduzione.
La pornografia, al contrario, aggiunge una dimensione allo spazio del sesso, lo rende più reale del reale -e questo la priva di seduzione.(...)
L'iperrealismo non è il surrealismo, è una visione che conduce una caccia spietata contro la seduzione a forza di visibilità. Vi si "da di più". (...) Repressione assoluta: dandovi un po' troppo, vi amputano del tutto.
Tutto ciò che è nascostoe gode ancora dell'interdetto sarà dissotterrato, restituito alla parola e all'evidenza. Il reale cresce, il reale dilaga, un giorno tutto l'universo sarà reale, e quando il reale sarà universale, sarà la morte.
Il segreto e la sfida
Ilsegreto.
Qualità seduttrice, iniziatica, di qualcosa che non può esseredetto perchè non ha senso, qualcosa di non detto e che pure circola. Così conosco il segreto dell'altro ma non lo dico, e lui sa che io so, ma non sollevo il velo: l'intensità tra i due non è altro che questo segreto del segreto. Una complicità che non ha nulla a che fare con un'informazione tenuta nascosta. D'altronde se pure i due partner volessero svelare il segreto, non potrebbero farlo, perchè non c'è niente da dire...Tutto quello che può essere rivelato passa a lato del segreto: non è un significato nascosto, non è la chiave di qualcosa; circola e passa attraverso tutto ciò che può essere detto, come la seduzione corre sotto l'oscenità della parola -è il contrario della comunicazione, eppure lo si condivide. Detiene il suo potere al solo prezzo di non essere detto, proprio come la seduzione opera solo per il fatto di non essere mai detta e mai voluta.
Sfida e seduzione sono infinitamente vicine. Eppure c'è forse una differenza, e cioè il fatto che la sfida consiste nel portare l'altro su un terreno vantaggioso per voi, come lo sarà anche per lui, in vista di un gioco al rialzo illimitato; la strategia (?) della seduzione, invece, consiste nel portare l'altro sul terreno della vostra disfatta, che sarà anche la sua. Disfatta calcolata, disfatta incalcolabile: sfida all'altro a lasciarvisi cadere. (...) Sedurre significa rendere fragili. Sedurre significa venir meno. Seduciamo con la nostra fragilità, e mai con poteri o segni forti. La potenza della seduzione sta proprio nel fatto che in essa mettiamo in gioco la nostra fragilità. Seduciamo con la nostra morte, con la nostra vulnerabilità, con il vuoto che incombe su di noi. Il segreto è saper "trattare" questa morte in mancanza dello sguardo, in mancanza del gesto, in mancanza del sapere, in mancanza del senso.(...)
C'è qualcosa di impersonale in ogni processo di seduzione, come in ogni crimine, qualcosa di rituale, di sovrasoggettivo e sovrasensuale -del seduttore come della sua vittima -è solo il riflesso inconscio. Esercizio rituale di una forma, in cui i soggetti si consumano. L'insieme assume, allora, allo stesso tempo, la forma estetica di un'opera d'arte e la forma rituale di un crimine.
martedì, novembre 06, 2007
NAPOLI CHE MUORE (123): Minestrone filosofico
Relativismo, fondamentalismo e integrismo L'espresso
Da quando BenedettoXVI, poco dopo essersi insediato sul soglio pontificio si è scagliato contro il relativismo, filosofi, politici, gente di blog, e comuni persone di strada hanno dato luogo ad una serie di discussioni per lo più interessatamente demagogiche, ma sempre piuttosto confuse, che hanno prodotto un variegato minestrone.
Questo mio modestissimo blog ha per sottotitolo: dietrologia dei punti di vista. Mi sembra quindi opportuno linkare quest'articolo di Umberto Eco che fa intelligente chiarezza su alcune terminologie di cui troppo spesso si parla a vanvera. Basti dire che nel relativismo alcuni incauti forsennati hanno inserito la new-age, il satanismo, il traffico d'organi, l'eresia, il cyberspazio, la ricerca scientifica, lo sfruttamento della prostituzione, i neonati fantasma (vedi mio post, archiviato qui, su quest'orribile argomento segnalato nel blog di Beppe Grillo, ma che non ha nulla a che fare col relativismo), le ammucchiate di gruppo, i servizi segreti, la magia nera, ed altre amenità del genere, producendo, appunto, un disgustoso minestrone che non aiuta certamante coloro che sono alla ricerca di Dio. Assolutismo che, secondo logica, nemmeno Benedetto XVI potrebbe approvare.
Almeno credo.
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Etichette: Benedetto XVI, relativismo, Umberto Eco
lunedì, novembre 05, 2007
NAPOLI CHE MUORE (122): La felicità
da:"Cittadella" di Antoine de Saint-Exupery, ed. Classici Borla Cap.XXX
"...L'uomo voleva ottenere e ha ottenuto. Possiede forse la felicità ora? Ma la felicità era il tentativo per ottenere. Guardate la pianta che forma il fiore. E' forse felice d'aver formato il suo fiore? No, ma è compiuta e non desidera niente se non la morte. Perchè io conosco il desiderio. La sete del lavoro. Il sapore della vittoria. Poi il riposo. Ma nessuno vive di questo riposo perchè non è un nutrimento. Non bisogna confondere il nutrimento con il fine. Il tale ha corso più in fretta e ha vinto. Ma non potrebbe vivere di quella sua corsa vinta... Perchè allora ci si inganna sull'oggetto del desiderio. Tu dici che ciò che insegui incessantemente si allontana incessantemente. E' come se l'albero si lamentasse e dicesse:"Ho formato il mio fiore ed ecco che esso diviene seme e il seme diviene albero e ancora una volta l'albero fiore..."..
...Io ti dico non esiste un'amnistia divina che ti risparmi di divenire. Tu vorresti essere: non sarai che in Dio. Egli ti accoglierà nel suo granaio quando sarai lentamente divenuto e le tue azioni ti avranno plasmato, poichè l'uomo, come vedi, è lento a nascere.
In tal modo gli uomini si sono vuotati poichè hanno creduto di possedere e di ottenere e si sono fermati per strada a godere, come essi dicono, dei loro beni. Lo so bene io, io che sono caduto così spesso nel tranello delle creature, poichè credevo di potermi facilmente impadronire di quella fanciulla che veniva plasmata in qualche contrada straniera e immersa nella perfezione degli aromi. E chiamavo amore questa vertigine. Mi sembrava di dover morire se non avessi saputo ottenerla.
Ed io uomo...improvvisamente, davanti a lei, non sapevo più che cosa fare.
Ed io, solo nel mio terribile deserto, la guardavo dormire, svestita.
Una volta presa, essa non esisteva più. Però capivo il mio errore. Era la corsa che mi interessava ed ero stato pazzo come quel tale che ha riempito la brocca d'acqua e l'ha rinchiusa nell'armadio perchè gli piaceva il canto delle fontane...
Ma se io non ti tocco, ti costruisco come un tempio. E ti fabbrico nella luce. E il tuo silenzio racchiude le campagne. E so amarti oltre me e te. E invento dei cantici per celebrare il tuo impero. E i tuoi occhi, palpebre del mondo, si chiudono. E ti stringo esausta tra le mie braccia, come una città. Tu non sei che un gradino della mia ascesa verso Dio.
Il dolore di uno solamente, te l'ho detto, vale il dolore del mondo. E l'amore di una soltanto, sia pure quello di una sciocca, dona equilibrio alla Via Lattea e alle sue stelle. Ed io ti stringo tra le mie braccia come inversione di rotta della mia nave. Così questa partenza in alto mare: dorso temibile dell'amore...
Perchè io odio ciò che è facile. L'uomo non è veramente uomo se non sa resistere. Altrimenti l'umanità diviene un formicaio ove Dio non è più presente, un'umanità senza lievito. Ecco il miracolo che mi parve di vedere nella mia prigione. Più forte di te, di me, di noi tutti, dei miei carcerieri, dei miei ponti levatoi e dei miei bastioni. Ecco l'enigma che mi tormentava, lo stesso enigma dell'amore, quando tenevo sottomessa quella fanciulla inerme.
Cap.XXXI
...Io so quando una donna non è come una fortezza smantellata o come una barca senza rotta dal cui anello di ferro si possa staccare a proprio piacimento la corda per condurla là dove si vuole, ma un essere meraviglios con le sue leggi di gravitazione interna e i suoi silenzi più maestosi del silenzio dei sistemi stellari.
Così fu la notte del fidanzamento e del condannato a morte. E in quella notte ebbi il sentimento dell'esistenza.
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domenica, novembre 04, 2007
NAPOLI CHE MUORE (121): Piccola pausa
Visto che lo fanno anche i cosiddetti "intellettuali" quando scrivono delle loro "magnate", oggi in una piccola pausa voglio trasmettervi la mia gioia.
Sto aspettando una vera brigata che arriva qui a pranzo. E' la prima volta che devo allungare tutto il tavolo per starci comodi. Ho preparato spaghetti al filetto con i pomodorini del Vesuvio che mi manda sempre Guglielmetti per via aerea, salsicce bosniache con patatine al forno, pomodori freschi con olio locale, leggero e squisito, e basilico greco, quello a foglie mini, profumatissimo, e zucchini alla scapece, finalmente, conditi con la menta d'una pianta che mi hanno regalato (perchè qui la menta la usano solo per farci il the).
La mia mezzosangue mi sta aiutando, ed è efficientissima. Ora sta preparando le crepes da condire con fettine di banane e la marmellata d'aranci preparata dalla mamma di Branko.
Il tutto condito con vino "negro" d'annata dell'isola di Brac.
Mangeremo verso le tre perchè dobbiamo aspettare Katia che arriva da Zagabria.
Che bella pausa prima di partire verso l'inferno di Napoli!
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sabato, novembre 03, 2007
NAPOLI CHE MUORE (120): Il fervore
da:"Cittadella" di Antoine de Saint-Exupery, ed.Classici Borla.
"Io ti parlerò del fervore poichè dovrai passare sopra a molti rimproveri. Così la moglie ti rimprovererà continuamente di offrire il tuo amore ad altri. Perchè secondo l'uomo quello che viene dato a uno viene sottratto ad un altro. E' la dimenticanza di Dio e l'uso dei beni che ci hanno fatti così. Perchè in realtà ciò che tu dai non ti diminuisce, anzi ti accresce nelle tue ricchezze da distribuire. Allo stesso modo chi ama tutti gli uomini in Dio, ama molto di più ciascun uomo di chi non ne ama che uno solo ed estende semplicemente al suo complice il miserabile campo della propria persona. Così chi affronta in lontana terra i pericoli delle armi dona alla donna amata senza che essa lo sappia, poichè le offre qualcuno che esiste, più di quanto le dia colui che la culla giorno e notte ma non esiste.
Non fare economie, perchè non è merce quella che si risparmi quando si tratta di movimenti del cuore. Donare significa gettare un ponte sull'abisso della tua solitudine
Quando tu dai non preoccuparti di conoscere a chi dai. Perchè verranno a dirti:"Il tale non merita questo dono!". Come se si trattasse di una merce utile ai tuoi bisogni. Anzi, colui che non ti è di alcun vantaggio nei doni che gli potresti chiedere, può servirti nei doni che gli offrirai, poichè attraverso lui servirai Dio. Lo sanno bene questo coloro che non provano alcuna pietà per i mali del servidorame, ma rischiano facilmente la propria vita e affrontano senza esitare cento giorni di marcia tra i sassi unicamente per medicare la ferita del servo dei loro servi. Si dimostrano abbietti e soggiacciono all'adulazione del valletto solo quelli che pregustano un suo gesto di riconoscenza, poichè costui non ha abbastanza carne da strapparsi per ricompensare un tuo sguardo, però, attraverso il depositario, hai dato a Dio, e sei tu che devi prostrarti poichè lui si è degnato di ricevere.
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venerdì, novembre 02, 2007
NAPOLI CHE MUORE (119): Più in là del giardino.
In un piccolo libro:"Diario di un dolore", ed. Adelphi, lo scrittore cristiano C.S. Lewis, a pochi giorni dalla scomparsa della moglie che amava moltissimo d'un amore vigoroso e completo, annota la grande, e direi inevitabile, crisi che subentra nel suo rapporto con Dio, pur mantenendo salda la propria fede. Direi che anzi, proprio a causa di tale saldezza, dà inizio ad un attacco molto simile alle lettere degli innamorati che si sentono respinti, nelle quali sono loro stessi a porre le domande e a darsi le risposte, attacco che trasformerà la nigredo del suo dolore nell'albedo della sublimazione, per poi condurlo, verso la fine dei suoi giorni, alla compiutezza di tutta l'Opera, eminentemente cristiana, che è l'unione con Dio.
"La cosa terribile è che, sotto questo aspetto, un Dio perfettamente buono non incute meno paura di un Sadico Cosmico. Più siamo convinti che Dio ci fa soffrire solo per guarirci, meno credibile ci sembra che implorare di non far male serva a qualcosa. Un uomo crudele lo si potrebbe corrompere, potrebbe stancarsi del suo infame passatempo, potrebbe avere la sua parentesi di misericordia, come un alcoolizzato ha le sue parentesi di sobrietà. Ma mettiamo invece di aver a che fare con un chirurgo che ha a cuore solo il nostro bene. Più sarà buono e coscienzioso, più sarà inesorabile nel tagliare...Che cosa vogliono dire quelli che proclamano:-Non ho paura di Dio perchè so che Dio è buono? Non sono mai stati da un dentista?"
Il pericolo di certo cristianesimo contemporaneo è costituito da coloro che, in virtù di ciò che essi ritengono essere la loro fede, puntano il dito del giudizio e si mettono a fare i chirurghi, senza la minima sapienza di ciò che può far bene o male ad un altro. Questa sorta di dio- fai- da-te, sta sorgendo come funghi, in nome di un cristianesimo del tutto aberrato,
e trova spazio in una società che ha perso la fede conservando tuttavia un inconscio bisogno di punizione.
"E poi uno dei due muore. E noi lo vediamo come un amore interrotto; come una danza arrestata a metà giravolta, o un fiore con la corolla miseramente strappata: qualcosa di troncato, e quindi privo della sua giusta forma. Ma è così? Se, come non posso fare a meno di sospettare, anche i morti sentono i tormenti della separazione (e questa potrebbe essere una delle loro pene purgatoriali), allora per entrambi gli amanti, e per tutte le coppie di amanti, senza eccezioni, la perdita dell'altro è una parte universale e integrante dell'esperienza dell'amore...Non è un troncamento del processo, ma una delle sue fasi; non è l'interruzione della danza, ma la figura successiva. Noi siamo "tratti fuori di noi" dall'amata fintanto che essa è qui. Poi viene la figura tragica della danza, nella quale dobbiamo imparare ad essere ugualmente tratti fuori di noi, anche se la presenza corporea è stata tolta, dobbiamo imparare ad amare Lei, e a non ripiegare sull'amore del nostro passato, o del nostro ricordo, o del nostro dolore, o del nostro sollievo dal dolore, o sull'amore del nostro stesso amore".
Ed è questo che io chiamo alchimia, anche in un amore travolto dalla contingenza, una guerra, un trasferimento inevitabile, un legame precedente indissolubile, e non necessariamente dalla morte.
Ed è a causa di questa mia convinzione che sono stata presa a calci, accusata d'eresia, e persino malamente cacciata dal luogo in cui uno di questi lupi, travestiti da agnelli di Dio, lanciano i loro anatemi e le loro condanne.
Senza che questo, tuttavia, per mia buona sorte, abbia minimamente disturbato la mia fede e il mio amore, ancora più in là del giardino prospettatoci da Lewis.
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domenica, ottobre 28, 2007
Napoli che muore (118): Viagra e dintorni
Tgcom - Gli italiani scelgono il Viagra (clicca qui)
Da qualche giorno ricevo mail allarmate, e, visitando i blog di alcuni amici, riscontro la medesima inquietudine. Si sta alzando una marea di paura sotterranea, un mal di vivere a causa di un futuro compromesso, che prima era solo territorio degli artisti, quelli veri, gli ipersensibili, i visionari capaci di trasmettere persino immagini anzi tempo su quello che ci attende. Adesso, probabilmente a causa dei mezzi di informazione, e non per ispirazione, questa capacità di lanciare uno sguardo nel futuro ,non proprio allegro, pare si sia espansa verso la coscienza collettiva. E la domanda che sorge presso tutti è: che possiamo fare?
Certo, se abbiamo una ragione dobbiamo usarla, senza farci prendere dal panico o cadere nella trappola delle superstizioni. Ma forse occorre anche un bell'esame di coscienza, senza scagliarsi, è stupido ed inutile scagliarsi contro chi riteniamo responsabili di un fenomeno che si annuncia irreversibile e che coinvolgerebbe tutti.
Penso che il link più sopra riportato sia abbastanza indicativo e ci inviti alla riflessione,il cyberspazio può anche aiutarci e non soltanto dannarci. Si tratta di una ricerca Google sulle parole più cliccate in vari Paesi.
Cominciamo da noi e dal Viagra.
In un luogo in cui ci si trova a nascita quasi zero, e che quindi è abitato principalmente da vecchi, ed uso la parola col massimo rispetto, a cosa si può anelare se non ad un farmaco che renda ancora possibile il rapporto sessuale? Ma non sono soltanto loro, i vecchi, ad interessarsene. Il fatto è che un eccesso di licenza può condurre all'impotenza, perchè uno vuole sempre di più, come un affamato che non si sazi mai. E, dopo aver esplorato tutto il possibile, resta la fame, i mezzi si impoveriscono, e gli obiettivi anche.
Abbiamo dimenticato, l'ho già scritto ma lo voglio ripetere, ch'è una pura illusione il sogno prometeico di vincere la natura. La possibilità della generazione in vitro implacabilmente indebolirà le nostre voglie che furono create per la riproduzione. E questo non è un discorso religioso, ma è scomodo lo stesso. Perchè è proprio la funzione a creare l'organo, quando tale funzione decade, l'organo non ha più motivo d'esistere. Però io non mi sento apocalittica e provo pena per coloro che ci restano attaccati come all'ultimo pezzetto di carne rimasto sull'osso. E con questo non voglio dire che non mi piaccia, voglio soltanto dire che non lo voglio per forza.
Sono convinta che ci verrà dato dell'altro, magari per ora ancora inconcepibile, perchè i tempi della natura sono lunghi, ma ho fiducia. Ed ho fiducia perchè ho fede, perchè credo fermamente che sia Dio a regolare il mondo, anche se non siamo in grado di capirlo, innanzi ai problemi che ci pone consentendo il male, dando libero arbitrio a chi non è in grado di gestirlo.
Se i canadesi cliccano marjiuana, i marocchini Jihad, i messicani Britney Spears, gli americani l'amore, e così via, è sempre questione di carenze, di rivendicazione in nome di ciò che manca.
E stranamente, ma indicativamente, tra le parole più cliccate su Google manca la parola Dio.
Ma questo non lo vedo come una colpa, bensì come un impoverimento del mondo. E un'incapacità ad accorgersi che persino nell'interesse verso Britney Spears o Kate Moss, persino in quello per la marjiuana o Tom Cruise o la Jihad, ci sia tanta, ma proprio tanta, fame di Dio e di capacità d'amare. Perchè non v'è altro patto, altra regola, altra dottrina che questa: noi riceviamo l'amor di Dio e glieLo rendiamo amando gli altri, sino al sacrificio e alla rinuncia, se necessario.
E' l'unica richiesta che ci viene fatta. Non è da poco, certo, ma nemmeno l'amore di Nostro Signore è da poco. Perchè soltanto così possiamo ottenere un equilibrio ed uscire dalla paura.
NAPOLI CHE MUORE (119): Poesie
POETI DI STRADA
da "Pour un homme" di Viola d'Amore (con traduzione di Ueuè)
Elle etait le jardin des roses
au milieu du desert
l'esperance qui pousse le jour
gouttes de miel dans ma vie
Elle etait mon rire et mon jeu
et dansait sur ma main ouverte
Elle etait son corps nu
qui ma voix decouvrait en cachette
le faisant tressaillir chaque jour
Elle etait mon projet
renvoyé chaque fois à demain
la naissance imprevu du desir
et la rage aussi
la voyant parcourir le monde
si libre
Elle etait mon cadeau
ma vertige
cette bizarre bien-aimée.
Lei era un giardino di rose
in mezzo al deserto
la speranza che spinge il giorno
gocce di miele nella mia vita
Era il mio riso e il mio gioco
e danzava sulla mia mano aperta
Lei era il suo corpo nudo
che la mia voce scopriva di nascosto
facendolo trasalire ogni giorno
Era il mio progetto
rinviato ogni volta a domani
la nascita improvvisa della voglia
e la rabbia anche
nel vederla percorrere il mondo
così libera
Lei era il mio regalo
la mia vertigine
questa bizzarra prediletta.
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sabato, ottobre 27, 2007
NAPOLI CHE MUORE (118): Lezioni d'amore.
da:"Lezioni d'amore" di Alain De Botton, ed. Guanda.
La natura di una maledizione è che la persona costretta a subirla ne ignora l'esistenza, è un codice segreto dentro ogni individuo, che si sviluppa nel corso di una vita, incapace tuttavia di trovare un'articolazione preventiva. Edipo è avvertito dall'oracolo che ucciderà suo padre e sposerà sua madre, ma la consapevolezza degli avvenimenti futuri non è sufficiente, si limita ad allertare l"io", non è in grado di disinnescare la maledizione codificata. Per scongiurare la predizione dell'oracolo, Edipo è cacciato di casa, ma va a finire ugualmente che sposa Giocasta: per lui, non da lui, è scritta la sua storia. Egli ne conosce il possibile esito, ne avverte i pericoli, eppure non può cambiarla...
Io però da quale malvagio destino ero segnato? Soltanto dalla mia impossibilità a dar vita a relazioni felici, la disgrazia più grande che possa toccare nella società moderna. Bandito dal boschetto ombroso dell'amore, ero costretto a vagare per la terra fino al giorno della mia morte, incapace di rimuovere quella condizione morbosa che induceva a scappar via da me coloro che amavo. Cercai un nome per questo male, lo trovai nella descrizione psicanalitica di coazione a ripetere, definita come:
...processo incoercibile e di origine inconscia, con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l'impressione molto viva che si tratti di qualcosa che è pienamente motivato nella situazione attuale. (J.Laplanche, J,-B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Bari, Laterza 1968.(NdT).
L'aspetto confortante della psicanalisi (se è lecito parlare in termini tanto ottimistici) è la quantità di significati che attribuisce al mondo in cui viviamo. Nessuna scuola di pensiero è più lontana dal concetto che il nostro mondo sia un'invenzione senza senso (anche negare significato è carico di significati). Il significato però non è mai lieve: il lessico dello psico-fatalista ha sottilmente sostituito le parole e poi con con la parola affinchè, con ciò identificando un paralizzante legame causale. Io avevo amato Chloe e poi lei mi aveva lasciato. Io amavo Chloe affinchè lei mi lasciasse. Il doloroso racconto del mio amore era un palinsesto, sotto cui era stata scritta un'altra storia. Sepolto nell'inconscio, un modello era stato forgiato, nei primi mesi o anni. Il bambino aveva respinto la madre, o la madre aveva lasciato il bambino, e ora il bambino/uomo ricreava il medesimo scenario, diversi gli attori ma identica la trama, Chloe dentro i vestiti indossati da un'altra. Perchè avevo scelto lei? Non era per la forma del suo sorriso o la vivacità della sua mente. Era perchè l'inconscio, direttore di scena del dramma interiore, riconosceva in lei un temperamento adatto al ruolo del copione madre/bambino, qualcuno che, con la sua tempestiva uscita di scena, con il necessario naufragio e dolore, avrebbe vincolato il drammaturgo.
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A questo punto occorre una riflessione di ordine pratico per le donne. Prima di iniziare una storia con un uomo informatevi bene sui rapporti che intercorrono tra lui e sua madre. Inducetelo a parlarne, così, come se niente fosse, magari nel corso di una buona cenetta a lume di candela che avrete preparato ad hoc. Se durante la narrazione scoprirete che ne è perdutamente innamorato e dipendente, congedatelo con garbo perchè a letto sarà una schiappa. Se al contrario vi rivelerà un rifiuto e una repulsione verso la figura materna, allora ponetevi a rischio, perchè potreste andare incontro ad una notte d'amore incandescente, ma soltanto se rientrate nel prototipo, e soltanto per una notte, perchè dopo essersi scalmanato nelle sue prestazioni incestuose, cercherà di farvi fuori con una scusa o un'altra, ciò che, se avete un po' di cervello, vi spingerà a svignarvela a gambe levate.
Ma se scoprite che l'uomo in questione ha un rapporto equilibrato con la propria madre, fatto d'amore, di devozione, di rispetto e di responsabilità, allora fate i salti mortali per non farvelo sfuggire, perchè vi trovate innanzi ad un individuo rarissimo. E con ciò intendo: UN VERO UOMO.
Ueuè
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Etichette: destino. nome, rapporto, riflessione
venerdì, ottobre 26, 2007
NAPOLI CHE MUORE (117): Il discepolo
da:"Poemi e racconti in prosa" di Oscar Wilde - Facchi editore, Milano 1923.
Quando morì Narciso, la fonte del suo diletto si mutò da una tazza di dolci acque in una tazza di amare lacrime; e le Oreadi vennero lacrimando attraverso i boschi, a cantare per la fonte e a darle conforto.
Ma quando videro che la fonte si era mutata da una tazza di dolci acque, in una tazza di amare lacrime, sciolsero le verdi trecce dei loro capelli, e le dissero:
"Noi non ci meravigliamo che tu pianga così Narciso, tanto egli era bello".
"Ma era bello Narciso?" disse la fonte
"Chi meglio di te lo dovrebbe sapere?" risposero le Oreadi "A noi sempre egli passava accanto indifferente, ma te cercava e si adagiava sopra le tue sponde, e guardava giù verso di te, e nello specchio delle tue acque rifletteva la sua bellezza."
La fonte rispose:
"Ma io amavo Narciso perchè, mentre stava adagiato sopra le mie sponde e guardava giù verso di me, io vedevo specchiata la mia bellezza nello specchio dei suoi occhi".
giovedì, ottobre 25, 2007
NAPOLI CHE MUORE (116): Una storia d'amore dentro una storia d'amore.
da"Un sorriso nell'occhio della mente" di Lawrence Durrell. Ed.Fazi
"...Un piccolo gruppo di psichiatri, tutti junghiani, avevano chiesto di incontrarmi per rivolgermi qualche domanda. Credo che fossero semplicemente curiosi di farsi un'idea di me e vedere se avessi tutte le rotelle a posto...Comunque sia, Vega era seduta in fondo, mi fissava, mi trapassava con lo sguardo, come se fosse in grado di contare ogni moneta che avevo in tasca...pensai che fosse la moglie o l'amante di uno dei medici presenti, benchè non riuscissi a stabilire quale. Comunque la serata terminò e ognuno se ne tornò a casa sua. Quindici giorni dopo la rincontrai per caso a Bounyon, dove ero alla ricerca d'un formaggio chiamato Vacherin. In realtà l'avevo dimenticata e mi dovette rinfrescare la memoria con dei riferimenti a quella serata piacevole ma certamente non memorabile. Andammo a prendere un caffè insieme e fu qui, in un triste bar, che cominciai a conoscere Vega. Per farla breve, nel mezzo di mille banalità, disse che lei era una vera lettrice all'antica. Ogni anno sceglieva un autore e di lui leggeva tutto. Aggiunse che quest'anno l'autore fortunato era stato Nietzsche ed era a metà strada. Perchè quest'osservazione ebbe un effetto immediato su di me? Perchè anch'io più o meno facevo così, un eco, per così dire. Da tempo raccoglievo e setacciavo materiali su Lou Andreas Salomé con la vaga idea di scrivere un saggio su questa notevole e dotata incantatrice, che da ragazza aveva stregato Nietzsche, poi ebbe un figlio da Rilke e in età matura si ritrovò ad essere amica e allieva preferita di Freud...Comunque sia, questo strano fregio di personaggi, alimentò la mia immaginazione. Avevo deciso di indagare nella storia della loro vita fino al lago d'Orta, che mi proponevo di visitare. Fu qui che il filosofo di trent'anni si dichiarò alla ragazza di diciotto, fu qui che egli tracciò l'intero scenario di Zarathustra! Una volta letto il taccuino che contiene i loro giochi domanda-risposta e gli enigmi basati su questioni filosofiche, appare piuttosto plausibile che alcuni brani del grande classico fossero effettivamente stati scritti da lei.. L'idea, per quanto inverosimile, mi intrigava...
-Che strano, dissi io, e lei fece eco con: -Perchè è strano?. Le dissi che stavo facendo una cosa simile e aggiunsi:-Domenica prossima vado a Orta per una settimana. Voglio vedere quel piccolo lago dove loro furono felici da giovani. Ho qualche idea che lei abbia contribuito a Zarathustra...
-Orta? Mi stava guardando davvero in modo molto strano, poi scoppiò a ridere. -Senta, mi disse,
arrivo proprio adesso dalla stazione. Ed estraendo dalla borsa una prenotazione ferroviaria, me la mise davanti sul tavolo... La data era quella del week-end seguente! La coincidenza era incredibile e tutti e due scoppiammo a ridere.
-Voglio visitare la piccola collina sacra con tutte le cappelle per cercare di scoprire quella in cui lui le dichiarò il suo amore, per ottenerne solo un rifiuto, giustamente, lui non era tagliato per il matrimonio e lei sarebbe stata una moglie disgraziata, sempre in movimento, sempre pronta a scomparire.
-Il Monte Sacro? -Sì, non ci sono mai stata. -Neanch'io. -Il suo biglietto è per una persona. Viaggia da sola? -Sì. -Allora ci possiamo rivedere. Vuole? -Certamente. Porterò i miei libri. -Sì, anch'io.
Fu uno di quegli strani incontri che accadono assai di rado nella vita e che la fanno risuonare. Ci stringemmo la mano con un po' di imbarazzo e ci salutammo. Quello sguardo azzurro risvegliò in me il ricordo di una poesia mezzo dimenticata che menziona 'il primaverile luccichio delle farfalle' in Coleridge...Tutto quello che mi ricordavo della ragazza bionda era lo sguardo azzurro e fermo di una stella, che fissava dall'alto del cielo la tranquillità del lago. Nel mio modo distratto avevo persino dimenticato di scrivermi il nome e il numero di telefono, nel caso ci fossero stati dei cambiamenti. Questo le conferiva una sorta di anonimato...Avrei oziato, pensai, intorno al lago Maggiore e sarei andato al Dragone, a Orta, molto prima di sabato. Quindi sarei andato a prenderla a Stresa, anche se lei tutto questo ancora non lo sapeva!
mercoledì, ottobre 24, 2007
NAPOLI CHE MUORE (115): La bestia innominabile
"La bestia innominabile" di René Char, tratto da"La bestia di Lascaux" di Maurice Blanchot
ed. Il cavaliere azzurro.
La bestia innominabile
(dedicato da Ueuè a tutte le donne di chi si è fatto un harem di dolore)
La Bestia innominabile chiude il
cammino del gregge gentile,
come un buffo ciclope.
Otto bischerate gli fanno da ornamento,
dividono la sua follia
La bestia rutta devotamente
nell'aria rustica.
I fianchi ripieni e cadenti
sono dolorosi,
vanno a svuotarsi
della loro gravidanza.
Dallo zoccolo alle sue vane difese,
è avvolta di fetore
Così mi appare
nel fregio di Lascaux
madre fantasticamente
travestita,
La Saggezza dagli occhi
pieni di lacrime.
Pubblicato da Ueuè alle 6:45 AM 25 commenti
Etichette: gravidanza, madre, occhi, saggezza
martedì, ottobre 23, 2007
NAPOLI CHE MUORE (114): Bosnia 3 - Il perdono
Ad un uomo che piange davanti a te, ad uno che non si difende più perchè ha sbriciolato il proprio egoismo, puoi dire tutto, sarai sempre accolto e mai giudicato. Ed io in realtà gli ho detto quasi tutto, quasi, perchè di quest'ultima cosa mi vergogno. E poi, con tutti quei morti di mezzo, la mia storia mi sembra stupida. Quando glielo dico lui scuote il capo, no, nessuna storia è stupida, le storie sono la vita, e la vita non è mai stupida. Allora, non senza un terribile sforzo, gliel'ho detto, gli ho parlato di quella brutta maledizione che mi era uscita dai visceri dopo che l'altro li aveva profanati, e con essi tutto il mio dolore che non aveva capito.
Mi ha preso le mani tra le sue e ha detto che dovevo liberarmi di quella colpa, e chiedergli perdono. Ma non lo capirà, gli ho spiegato, penserà che è una scusa per ricontattarlo, è afflitto da un narcisismo patologico. Ma questo, se è vero, non ha importanza, importante è chiederlo.
Mi sta guardando fermo, con la sua dolcezza implacabile.
Abbiamo finito di pranzare da un bel po', c'è ancora la tovaglia con i piatti sporchi sul tavolo.
"Apri il computer e chiedigli perdono."
Lo faccio mentre lui sparecchia, gli mando una mail che non ottiene risposta.
Trascorro il pomeriggio ascoltando le poesie che mi legge da un libretto rosso, poesie di un amore struggente, scritte da un ragazzo nordafricano scomparso nel nulla senza lasciare traccia di sè.
Scomparso come? Forse si è rifugiato presso una comunità sufi, chi scrive così ha certamente trovato Dio. Ma le ha scritte per Dio, queste poesie, o per un essere umano? E che importanza ha, non senti che ha trasceso tutto? C'è un punto in cui i due aspetti dell'amore si incontrano e si uniscono per sempre.
Io so che non è un caso se ha scelto proprio quelle da leggermi.
Di sera non ho appetito. Me ne sto seduta su uno dei divani letto come una zombi. E' stata una giornata piena di emozioni. Mi sembra d'avere dentro una matassa ingarbugliata che non riesco a dipanare. L'altro non ha risposto. Riprova, dice lui. Mi sta chiedendo di sottomettermi, di rinunciare all'orgoglio, persino alla dignità, innanzi a uno che equivocherà come ha sempre fatto.
Ma quella macchia devo togliermela dalla coscienza, lui ha ragione.
La legna crepita nel camino, come fa ad essere così asciutta in un luogo tanto umido?
Poi lancio un urlo, un dolore acuto al piede che è tutto storto in una posizione innaturale, e non riesco a muoverlo. Lui mi sfila lo zoccolo e il calzino, comincia a massaggiarlo, e via via che il crampo si scioglie, il piede riprende la sua posizione normale. Tebaldo s'è avvicinato, forse spaventato dai miei urli, non capisce che ci fa quell'uomo chinato a terra con il mio piede tra le mani. Ci annusa entrambi, è il suo modo per tentare di capire.
Domani ce ne andremo da questa casa nella quale ho vissuto come dentro un sogno.
Anche l'altra mail non ha ottenuto risposta, mi sento bruciare d'umiliazione.
In una di pochi giorni fa gli ho scritto che la gente ha bisogno d'amore e non di paternali. E lui ha risposto con disprezzo: ecco, appunto, elargisci. Ma io so che soltanto l'amore può salvarci da quest'altro inferno in cui tutti stiamo vivendo.
Forse è per questo che attraverso lo spazio che divide i nostri letti, elargisco, sì, voglio elargire come dici tu, ho fatto sempre tutto quello che volevi. Sono appena tre metri che mi sembrano chilometri. Ma quando mi infilo sotto il suo piumino lui mi costringe ad alzarmi, si mette a sedere e mi spinge sui suoi ginocchi. Poi mi abbraccia e mi sussurra che non è possibile, che sono piena dell'altro, che per lui non c'è posto, che amare è un privilegio molto raro, e occorre mantenerlo vivo come una fiammella che va nutrita ogni giorno senza farla divampare per non bruciarsi, l'amore si nutre di se stesso se lo mantieni al giusto regime di calore. E quella voce tiepida che mi soffia nel collo mi sta rimettendo a posto la matassa arruffata che mi portavo dentro. Anche lui può amarmi così, quando si ama così non ha più importanza se uno è vivo o morto, non ha importanza se l'altro non ti appartiene, se non puoi averlo, se pure ti maltratta, devi solo arrenderti totalmente a quest'amore, senza chiedergli nulla, se non di perdurare nel tuo cuore.
Ma lui non mi ha risposto, obietto, persino il perdono mi ha negato. E che importanza ha, tu gliel'hai chiesto, no? Ho perdonato anch'io, me l'ha insegnato mia madre. Ma tu stamane piangevi quando hai chiuso il libro. Piangevo, sì, perchè il perdono non elimina il dolore, ma lo addolcisce.
Allora io dico va bene, e me ne torno sotto al mio piumino. Ho detto va bene tutta la vita. E' il mio destino dire va bene. Uno che si arrende non può che continuare a dirlo, sapendo però perchè lo dice.
Va bene, va bene
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lunedì, ottobre 22, 2007
NAPOLI CHE MUORE (113): Bosnia 2 - Srebenica
Il camino stanotte s'era spento e faceva freddo anche sotto i piumini. Tebaldo ha provveduto subito a mettersi in salvo infilandocisi sotto con l'abilità d'un topo. Stamane me lo sono ritrovato di fianco a una gamba riscaldata dal suo piccolo corpo, tutto il resto di me era intirizzito. Il mio ospite ha riacceso il fuoco e mi ha preparato la colazione: caffè, latte di capra, pane grigliato, e la marmellata d'aranci di sua madre. Mi accudisce per quella che sono: una convalescente. Ma sto prendendo coscienza del mio egoismo, ne occorre tanto per accettare l'amore, molto più che a donarlo, perchè lì ti senti buono e generoso, qui invece hai paura di impegnarti, temi che ti venga richiesto qualcosa in cambio che non hai voglia di dare. Conteggi miseramente. E da brava cattolica, sia pure non troppo ortodossa, glielo dico chiaramente.
Lui rimane a guardare nel vuoto per un po' a pensare. Poi mi sussurra con un filo di voce che è un bosniaco musulmano. Si alza, prende un libro:"Apocalisse criminale", dichiara che non saprebbe narrarmelo meglio di lui, Anthony Loyd, e, con quella sua voce morbida che me ne ricorda un'altra, comincia a leggere:
"Srebenica, estate 1996
C'erano luoghi tra gli alberi fitti dove il canto degli uccelli si spegneva, radure ombreggiate dominate da un vuoto acustico. Se ti capitava di trovarti lì in mezzo, dal mondo esterno nessun rumore poteva raggiungerti, se non il fruscio della brezza estiva. Ma era bene non prestare troppa attenzione a quel silenzio, perchè, se restavi da solo, l'immaginazione cominciava a fare brutti scherzi, e a quel punto non era soltanto l'erba che sentivi sussurrare."
Io stavo intanto pensando ad un altro bosco che mi aveva incantata.
"Quei boschi erano disseminati di ossa per chilometri, resti umani che seguivano un sentiero accidentato diretto a oriente attraverso le colline di Srebenica, una pista che si interrompeva e ripartiva in un intreccio confuso dove era stata opposta un'ultima resistenza o erano stati finiti quelli troppo feriti o stanchi per proseguire. L'intera zona era satura dell'odore del massacro. Nelle valli esistevano fosse comuni dove i prigionieri erano stati ammassati, giustiziati e poi coperti sbrigativamente con un sottile strato di terra che, a distanza di un anno, emanava ancora un intenso fetore di putrefazione. Altrove c'erano scheletri solitari nascosti nel sottobosco, individui che avevano provato a farcela da soli, ma che erano stati stanati ed uccisi a colpi di mutilazioni o di armi da fuoco. Persino i cigli delle strade rendevano omaggio agli eventi dell'estate precedente. Lungo un raccordo, uno scheletro con un abito gessato giaceva avviluppato ad un palo di cemento. Tra il groviglio di ossa accasciate al suolo e subito rivendicate da rovi e muschio, si intuiva che le braccia dell'uomo erano state legate al palo con del filo di ferro. Qualunque cosa gli fosse accaduta, è improbabile che fosse stata rapida o indolore.
Se fosse esistito un elenco di tutti i modi in cui è possibile morire, allora i morti di Srebenica sarebbero rientrati nella maggior parte delle opzioni. Alcuni, presi da un panico disperato, si erano dati la morte con le proprie mani; altri erano morti nel corso di confusi scontri a fuoco con i propri commilitoni o col proprio nemico. I più, però, si erano arresi, e dopo un'ultima, lunga camminata nel sole estivo, erano andati a comporre file con i propri compagni. Il ritmico lavorio di una mitragliatrice alle loro spalle era stato l'ultimo rumore che avevano sentito, tranne forse il sussurro di qualche parola d'amore o di pentimento".
Ha chiuso il libro, perchè gli si è rotta la bella voce e adesso tra gemiti e singhiozzi, narra che anche suo padre e suo fratello sono morti in quell'inferno.
Tebaldo gli è saltato sulle gambe e gli lecca le mani bagnate di lacrime. Lui lo accarezza e mi guarda coi suoi occhi blu gonfi di pianto. Poi sorride mestamente e mi invita a stare tranquilla.
Un uomo che piange non può essere sexy, mormora.
domenica, ottobre 21, 2007
NAPOLI CHE MUORE (112):Bosnia 1- Acqua che scorre
Mi trovo in un posto che, per quanto ne sappia, è unico al mondo, o almeno così a me pare.
Si tratta di uno chalet costruito su un grande scoglio piatto nel bel mezzo d'un fiume. L'acqua vi scorre tutt'intorno e per raggiungerlo occorre attraversare una specie di passerella. Lo chalet è arredato in modo essenziale, che per molti significa povero, e per me elegante e comodo. Non vi manca nulla, abbiamo cibo per tre giorni, il mio ospite ed io, in parte già cucinato. E poi ci sono le trote. Non l'avevo mai creduto che si potessero pescare di notte con le mani, e invece è vero, ne abbiamo prese tre, e le abbiamo cotte sulla griglia in muratura costruita a fianco dello chalet.
Non c'è televisione, meno male, nè giornali, ma abbiamouna connessione internet senza fili, e perciò posso scrivere. A parte questo, siamo molto lontani dal mondo. Abbiamo buona musica, il camino acceso, perchè s'è alzato il vento che proviene dagli urali, e bei piumini caldi sotto i quali accucciarsi. Da queste parti la casa si chiama proprio cuccia, come noi chiamiamo quelle dei cani.
Questa cuccia è quanto di più confortevole abbia sperimentato nella vita.
In più c'è un'amabile conversazione e la disponibilità ad affrontare gli argomenti che costituiscono la mia fissa: Dio e l'amore tra gli esseri umani. Una voce calda che accompagna le mie elucubrazioni, uno sguardo pieno di pazienza, due mani molto belle che ogni tanto sfogliano un libro che potrebbe contenere risposte. Un'assenza totale di vanità e di malizia. Mi sembra di navigare su questo scoglio lungo il fiume. Pensavo che il rumore dell'acqua mi disturbasse, invece m'ha cullata per tutta la notte. Sotto quel piumino mi sono ritrovata bambina, ma non c'era nessuno ad accusarmi, a farmi predicozzi, a farmi temere di perdere la felicità.
Tutto mi veniva dato solo per il piacere di donarmelo.
E stamane, incredibile, m'ha svegliata il suono della mia voce che cantava: "Una preghiera picciina, coome son io, ascolta o Diio." Avevo tre anni quando le suore dell'asilo mi issavano su una sedia e me la facevano cantare. Allora non soffrivo di vertigini come adesso. Sono qui per farmele passare, le vertigini, ed affidarle all'acqua che corre per diventare mare.
NAPOLI CHE MUORE (111): Dell'amore negato
Venere, te lo chiesi
in una sera tersa
il sole al discendente
e tu brillavi in cielo
Chiesi che dal tuo ventre
tenero e odoroso
umido di rugiada
uscisse un dio amoroso.
Che nello sguardo avesse
la saetta di Giove
e Nettuno gli desse
dolce voce di flauto
e Marte gli donasse
virilità e coraggio
E di bellezza Apollo
splendesse sul suo viso
e di Mercurio alata
avesse intelligenza.
Ti chiesi quella sera
tale prodigio arcano
e tu che cosa hai fatto:
m'hai mandato Gaetano?
Giove gli ha dato smanie
ma tutte inconcludenti
e Nettuno una voce
più degna di postribolo
Marte viltà e impotenza
coeundi a saliscendi
e Apollo?
Apollo gli donò
soltanto porcellana
infatti è un vero cesso
'sto figlio di puttana
Quanto a Mercurio poi
non s'è sforzato il dio
Gaetano è pure fesso:
e questo è l'uomo mio?
Che brutto scherzo, Venere
mi faceste lassù:
non lo voglio Gaetano
sciroppatelo tu!
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sabato, ottobre 20, 2007
NAPOLI CHE MUORE (110): Per Filippo Maria
Rise Natura un giorno
compiaciuta
quando ti partorì
ma lasciò nel tuo sguardo
la cifra azzurra dell'incognita
cielo infinito d'astri
che si donano
sino ad estinguersi
Splende l'amore
che brillò allo zenit
ed io al nadir ti inseguo
e prego il Tempo
che mi lasci passare.
(questa poesia è stata scritta per Filippo Maria, un bambino che è stato chiamato in Cielo, ma è dedicata, senza pietà, ad un uomo malvagio che ha osato profanare la storia di questa morte e il dolore che l'ha accompagnata).
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venerdì, ottobre 19, 2007
NAPOLI CHE MUORE (109): La direzione
"Buongiorno, doberdan. No, non si aggrappi alla cinghia della sua tracolla, non voglio derubarla. Non sono uno scippatore. Qui non ne abbiamo. Non ancora, almeno."
"Scusi, ma lei che vuole?"
"Voglio sapere soltanto dove va."
"E cosa gliene importa?"
"Se glielo chiedo vuol dire che mi importa."
"Non la capisco."
"Non importa capire. Basta dire dove va."
"E perchè mai glielo dovrei dire? Io non la conosco."
"Le piace camminare?"
"Nemmeno un po'."
"Nemmeno in compagnia?"
"Ancora peggio."
"Ma non l'ha visto il sole? Oggi è magnifico."
"E allora?"
"Ci si muove bene nel sole."
"E allora vada lei. Lei dove va?"
"Io vado qui."
"Qui dove?"
"Qui, su questo muretto dove sta seduta."
"Beh, allora glielo dico, io non vado da nessuna parte."
"Anch'io non ho una direzione."
"Guardi che non ho voglia di parlare."
"D'accordo, però le scarpe."
"Cos'hanno adesso le mie scarpe?"
"Sono piuttosto estive. Zoccoli di silicone."
"Io li porto anche d'inverno, coi calzerotti di lana, sono comodi."
"Molto interessante."
"Interessante cosa?"
"Quello che ha detto. Vuole una sigaretta? No, è inutile frugare nella borsa, tanto le ha dimenticate a casa."
"Ma lei che ne sa?"
"Controlli allora. Vede che ho ragione?"
"Va bene allora me la prendo. Grazie."
"Cosa posso fare per dissipare tutta questa nebbia?"
"Ma se c'è il sole."
"Il sole è fuori, dentro c'è la nebbia. Adesso le canto una canzone."
"Oddio, no, smetta, per favore, lei è stonatissimo, la sua voce è stridente e sbaglia tutte le parole."
"Però sta ridendo."
"E per forza. Lei è proprio assurdo a voler cantare."
"Come i suoi zoccoli d'inverno."
"Beh, forse sì."
"Lo vede che abbiamo trovato una direzione?"
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NAPOLI CHE MUORE (108): Numeri.
Stacchiamo la spina. Lasciamo la letteratura, e prendiamoci una pausa di quel gelo che solo i numeri sanno darci, tanto per rinfrescarci un po'.
Parliamo dei morti ammazzati sulle strade da gente per lo più drogata e imbottita di alcoolici.
Ne abbiamo già parlato a suo tempo, ma adesso prendiamo in esame soltanto i numeri. Non per la loro valenza numerica in sè, ma per quello che suggeriscono quando diventano tabelle di costi di morti e di feriti. Somigliano un po' a quelle delle assicurazioni sulla vita, ma lì ci sono ancora almeno due vivi: uno che firma grattandosi le palle, e un altro che sospira soddisfatto e ripone il contratto nella cartella.
Qui di vivi ci sono soltanto i feriti, 313.727 per il 2005, secondo gli ultimi Aci-Istat, con un costo individuale che può arrivare sino a 40.000 euro a cranio, a seconda delle gravità delle lesioni.
E i morti? Ah, quelli? Sono 5.426. E non parliamo di quanto ci vengano a costare!
Pensate che il costo sociale medio per ciascuno è pari a 1.281.778 euro, tenuto conto della mancata produzione, dei costi sanitari e pubblici, del risarcimento del danno morale agli eredi.
Morale della morale?: i costi legati all'infortunistica stradale sono stimati in 15 miliardi di euro.
Inseriamo questi numeri in una tabella:
Numeri di morti 5.426=
Numeri di feriti 313.727=
Numeri di incidenti
stradali in un anno 225.078=
Numeri di costo medio
in euro per ogni morto 1.281.778=
Numeri di costo medio
in euro per ogni ferito 40.000=
Costi sociali legati
all'infortunistica
stradale 15.000.000=
A questo punto tutte queste cifre sono i risultati di ricerche statistiche, possono interessare chi si occupa di bilanci, ma del dolore di chi ha sofferto chi se ne occupa? Ci pensiamo al dolore di tutti questi morti e feriti, familiari ed affini, quando li scriviamo o li leggiamo questi numeri?
Ci viene mai di fare silenzio per un attimo da dedicare a chi ha tanto sofferto per l'imbecillità altrui? O non ci pensiamo perchè i numeri sono i simboli dei costi economici e non esistono quelli del dolore?
E adesso riattacchiamo la spina, fanculo ai numeri, lasciamo fluire musica, ritmo e parole, scaldiamoci al tepore della poesia, abbracciati a tutti i morti e feriti danziamo tutti insieme.
Pubblicato da Ueuè alle 1:49 AM 13 commenti
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