domenica, agosto 19, 2007

NAPOLI |CHE MUORE (66):La morte degli altri.

Sarà che il blog di Claudio Rinaldi mi manca e vorrei che a nessuno venisse in mente di chiuderlo.
Sarà che l'afa estiva mi ha impedito di uscire nella calura e mi ha costretta accanto al deumidificatore, aggrappata al Pc. Sarà che ne ho le palle piene di tutti i pettegolezzi nei blog, cosiddetti impegnati, sui misfatti dei parlamentari. Sarà che potevo finalmente recarmi per una settimana di vacanza su di un'isola non ancora inquinata dal turismo, e all'ultimo momento improvvisi impegni me l'hanno impedito. Sarà che tutti questi morti ammazzati sulla strada dai drogati mi rendono furiosa.
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Fatto sta che sono andata a rileggermi un'inchiesta di Roberto Barbolini, uscita per Panorama, su come alcune persone famose vorrebbero morire.
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E nel rileggerla ho capito che quando si pensa alla propria morte, in realtà non ci si pensa affatto. Si pensa solo a come reagiranno gli altri.
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Veltroni si sofferma sul "lascito di sè", su ciò che si lascia agli altri. E si rammarica di non poter partecipare ai propri funerali, di non poter vedere quello che succederà dopo, di leggere gli articoli sui giornali.
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Margherita Buy auspica per sè lo stoicismo riscontrato nei nonni nei confronti della morte.
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Monsignor Ravasi ritiene un sollievo poter avere accanto a sè in quel momento una persona amata che ti stringa la mano. Meglio di tutti lo stesso Iddio.
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Martina Mondadori si augura di morire da sola per non dare un dolore a chi le vuole bene.
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Francesco Guccini dichiara che per lui la morte è ancora qualcosa che tocca sempre gli altri.
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Duddù La Capria si preoccupa del fatto che gli altri dimenticano tutto, persino la sua scrittura.
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Paolo Poli, che si definisce molto argutamente "una bambinaccia", non desidera una morte appariscente e vorrebbe sparire in un cespuglio come la Vispa Teresa tra l'erbetta.
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L'altro Paolo, il Mieli, vorrebbe essere il regista della propria fine, istantanea, remota e priva di applausi, seguita da un meeting in cui si mangia si beve e si chiacchera.
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Il filosofo Emanuele Severino, molto saggiamente, spiega che l'unica esperienza della morte che abbiamo è quella che abbiamo quando muoiono gli altri.
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Quanto a Luciana Littizzetto (tre doppie nel cognome), descrive quello che fa la gente al cimitero, prima si commuove e poi se ne va chiaccherando.
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In realtà nessuno ha parlato della propria morte, se non rispecchiata nel comportamento altrui, perchè della propria morte nessuno può parlare per mancanza di un'esperienza diretta. O forse, le persone intervistate, per pudore, ideologia personale o notorietà, non se la sono sentita di tirare in ballo, innanzi al nulla della globale ignoranza su questo tema, gli argomenti consolatori dei tunnel con in fondo la luce, la reincarnazione o il cielo.
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Fatto sta che quest'escursus m'ha portata sulla soglia del buio della coscienza e della fine della propria identità. E ho cominciato a chiedermi se sia vero che sia proprio questo benedetto nulla a spaventare tanto, e fin lì andavo tranquilla perchè, se non c'è identità non c'è nemmeno uno che possa avere paura, Epicuro docet, o se non si tratti invece, un attimo prima, di un pensiero da vivo, di un problema in cui si suppone non ci sarà posto per un bagno di notte nel mare illuminato dal plenilunio avvinghiato ad uno che ti piaceva proprio tanto, troppo. L'attimo in cui hai creduto d'avere raggiunto tutto quello che volevi dalla vita, che so, la nascita d'un figlio, quando è diventato un altro da te, e hai potuto guardarlo come un miracolo d'immortalità. O quando una vita, anzichè produrla, sei riuscito a salvarla. O anche piccola cose, nell'istante in cui furono grandi per te, la consegna del primo motorino, la prima cotta, il primo, e magari anche ultimo, senso di totale libertà nell'aria, nel vento, in una preghiera, in un orgasmo.
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Un nulla che non ti piace, insomma, al quale non vuoi lasciarti andare, perchè mille ricordi e mille rimpianti ti trattengono qui, in quest'inferno tanto deprecato e sofferto, che tuttavia ti ha sedotto al punto che sei riuscito persino a godertelo.
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E stavo lì con Panorama tra le mani, con tutti i morti ammazzati sulla strada da degli imbecilli che non sanno nulla nemmeno della vita, con tutti questi morti che mi urlavano nella testa, davanti al computer acceso.
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Poi sulla home page di Google ho visto che c'era il consiglio del giorno pronto per me:
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"H O W T O M A K E G N O C C H I"
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E ho cominciato a ridere senza smettere di piangere. E ho pensato a Rinaldi che spesso cominciava i suoi articoli scrivendo:"Duole dirlo...", e poi, per associazione, a Montanelli quando, parlando dell'Italia, diceva:"Questa grande puttana che non posso fare a meno d'amare", e: "Votate Dc turandovi il naso".
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Ed erano le parole giuste, le parole giuste che volevo scrivere sulla vita:"Questa grande puttana che non si può fare a meno d'amare", e:"Quando pensate all'inquinamento , alla crisi energetica, alle ingiustizie umane, a quanto sono coglioni o criminali i vostri simili, turatevi il naso, ma fate qualcosa, qualcosa affinchè tutti possano avere la loro occasione, quei pochi istanti, per poter continuate a vivere".

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Ueuè, non ho parole.

embè ha detto...

Hai pensato, hai riso ed hai pianto anche per me. Proprio come se fossimo un'unica persona.

ottoflash ha detto...

NOn ho parole da aggiumgere a quanto hai incredibilmente, ancora una volta,stigmatizzato in questo munnezzaro umano......Il vero inferno è la condanna mortale al nulla .....
Sono appena ritornato dai Pirenei Catari, e ho molto riflettuto sulla loro fede e sui timori della Chiesa di fronte a quest'eresia ...
Se il vero inferno è questa vita che viviamo ogni giorno e di cui ci continuiamo ad infettare... beh!!!...
Che la morte ci liberi dal nulla umano....

Ueuè ha detto...

Bentornato Ottoflash, mi sei mancato.

vabbè ha detto...

Ueuè, ma come ti illudevi d'essere accolta in quel grande monnezzaio che ha costruito un mondo di cartone per i gonzi?
Lasciali alla loro malafede, alla loro gretta visione del mondo, alle loro droghe, ai loro figli che hanno inscritto il fallimento nel dna ereditato da quei criminali dei loro padri. Lasciali al loro destino prossimo venturo. Razza di servi e di imbroglioni.

Anonimo ha detto...

Ueh,Ueuè,noi non abbiamo mai fatto fuori nessuno!
TANTO PER CAPIRCI!

Oby ha detto...

Non ho parole per la bellezza dell'articolo. Io penso che la morte sia temuta principalmente per la certezza che porta con se che tutto quello che abbiamo vissuto svanirá, i ricordi, i bei momenti che non ripeteremo piú, magari aumentata dai rimpianti per non aver spremuto al massimo quest'arancia amara che peró ha dimostrato di essere anche tanto dolce. La paura di non sapere che ne sará di noi...soprattutto questa mi frenerebbe, ma se sapessi di poter lasciare i miei ricordi a qualcun altro, forse partirei piu sereno.

Ueuè ha detto...

Grazie Oby, in realtà i ricordi, nel bene e nel male, questo è il problema, li lasciamo nel dna quando ci riproduciamo.

cazzandra ha detto...

Carissima Ueuè, tu miri sempre dritta al sodo. Ha ragione quello che ti chiama "mina vagante".
E' vero, la morte rimossa torna sempre a far capolino attraverso la morte degli altri. Dovremmo imparare a guardarla bene in faccia, invece, per non farci più spaventare.

miro ha detto...

Io vivo d'amore, mi nutro d'amore, ma del mio amore,quello che non potrà mai tradirmi, a meno che non sia io stesso a deciderlo scivolando nel buio del nulla, non di quello degli altri. Bisogna riuscire ad amare tutto, anche la morte.

Anonimo ha detto...

Troppo difficile per me.

Anonimo ha detto...

Brava Cazzandra le cose si devono guardare in faccia per non averne paura, non fingere di rimuoverle o dimenticarle...........