sabato, dicembre 30, 2006

napoli che muore (18)

Tra Natale e capodanno qualche anticipo dei tracchi non ce lo toglie nessuno, ed è peggio che a mezzanotte del trentuno perchè arriva, improvviso e inatteso, magari mentre stai scolando la pasta e sussulti scottandoti con l'acqua bollente.
Il primo dell'anno invece i più visitati sono i prontosoccorsi, i medici fanno a gara per evitare le guardie in quel giorno, troppe dita e mani da curare, ricucire ed eliminare. Ma non c'è polizia o messaggio televisivo che possa frenare la voglia napoletana dei botti che ogni anno si fanno sempre più pericolosi e sofisticati, vere armi micidiali. L'anno scorso ho sentito tremare addirittura i muri di casa, e fuori non c'erano nemmeno i bagliori dei fuochi d'artificio, solo botti tremendi.
E al di là della scusa che sparare porti fortuna per tutto l'anno a venire -mi piacerebbe sapere chi l'ha inventata questa superballa- c'è da chiedersi se per caso ai napoletani non piaccia la guerra, se nella loro memoria genetica non vi sia una una traccia dei botti dei bombardamenti, o se non vi sia addirittura il tentativo di esorcizzare il botto dei botti, quello che farebbe il Vesuvio,incrociamo le dita di mani e piedi, secondo le più nere previsioni degli addetti ai lavori e i desiderata dei nostri cari fratelli del nord che hanno inventato il "Vesuvio avanza".
Comunque, visto che alla conferenza di fine anno, quando il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno gli chiedeva cosa intendesse fare il governo per il Sud, Prodi gli ha risposto che occorre eliminare la criminalità (e va' beh!)e bisogna "attrarre" nei nostri porti le navi provenienti dall'estremo oriente, credo che dovremo metterci tutti a studiare una serie di lingue, dal cinese al sanscrito, per non farci trovare impreparati da tutto questo grande traffico che eliminerà dalle nostre strade e dalla nostra vita la delinquenza, la disoccupazione e la monnezza, sostituendole con l'educazione civica, il benessere e un'accurata igiene cittadina.
Ma dopo tutte queste confortanti promesse governative invito tutti i napoletani ad accogliere il nuovo anno tenendo presente che "ccà nisciuno è fesso".
Quanto a me aspetterò il 2(007, l'anno dei servizi segreti!) mangiando l'insalata russa che mi prepara Svetlana, non perchè la sua sia più buona di quella che prepariamo a Napoli, anzi, a dire il vero, la sua la trovo un po' sciacquetta con le mele e senza sottaceti a fronte dei nostri, se non poteri, almeno sapori forti.
Ma una pietanza preparata per voi con tanta cura da una persona che amate acquisisce il sapore dell'amore che è un sapore universale.
Perciò buon anno a tutti e attenti ai botti!

lunedì, dicembre 25, 2006

napoli che muore (16 bis)

Buon Natale a tutti, amici e nemici, a chi ama e a chi odia.
Ma ricordiamoci che il terzo mondo comincia dalla porta accanto alla nostra, perchè tutti abbiamo bisogno d'amore. Non c'è altro modo per creare una catena di pace, senza soluzione di continuità, su tutto questo nostro maltrattato pianeta e i suoi abitanti.
A presto

sabato, dicembre 23, 2006

napoli che muore (16): caro babbo natale

Caro babbo Natale, ti scrivo un'altra lettera e ti prego di stracciare quella di prima che non vale più. Non la voglio la playstation perchè ce l'hanno tutti i miei amici e quando voglio giocarci vado a casa loro. Del resto mio padre me l'ha mandata due giorni fa sapendo quanto la desideravo e io gliel'ho rimandata indietro e gli ho scritto di farci giocare i figli di quella donna forestiera con la quale se l'è squagliata l'anno scorso proprio sotto le feste. Il dono che ti chiedo è di non farmi passare la cena di vigilia in mezzo tutte queste donne che piangono.
Zia Titina parla sempre di zio Roberto che è morto dieci anni fa, piange a singhiozzi
e una sera si stava soffocando con un pezzo di capitone in bocca e l'abbiamo dovuta portare al pronto soccorso. Nonna Imma ripete che il nonno era un gran porcone perchè aveva il vizio delle donne, piange piena di rabbia e poi si fa il segno della croce e dice pace all'anima sua. Sono sicuro che che mammà piangerà molto anche quest'anno e io che sono un maschio in mezzo a tutte queste femmine che piangono non so che fare. A mezzanotte, come ad ogni vigilia scenderà la signora Maddalena con una fetta della cassata siciliana che le manda il figlio da Pordenone.
"Quant'è caro, quanto mi vuole bene, quanti pensieri ha per me."
E due anni fa, per averle detto che però sto' figlio non viene mai, mi son beccato un calcio da mammà sotto al tavolo. E poi quest'anno mi aveva anche proibito di chiederti la playstation perchè le donne separate non prendono la tredicesima. E quando le ho chiesto che c'entrava lei ha detto che non potevo capire.
L'anno scorso il presepe non l'abbiamo fatto perchè nonna Imma ha detto che eravamo a lutto per colpa di papà, ma questa volta ho preparato un minipresepe con solo la Madonna, San Giuseppe, il bue e l'asinello, e a mezzanotte, quando scenderà quella rompipalle, metterò anche Gesù bambino nella mangiatoia, così almeno saremo tre maschi a darci forza contro tutte queste femmenazze.
Io di più non posso fare, tu però devi aiutarmi. Non so come, vedi tu.

martedì, dicembre 19, 2006

Napoli che muore (15)
Su in collina c'è una gran piazza circolare abbracciata da due immensi e solidi edifici costruiti in un'epoca in cui le case popolari prevedevano anche la vista del mare. Oggi l'area di queste abitazioni gira sui dodicimila euro a metro quadrato, e gli operai, dopo averle riscattate, o hanno fatto fortuna e son rimasti, o hanno venduto per comprare una casa ad ogni figlio.
Nella piazza c'è il chiosco d'un giornalaio che vende anche giornalini e cassette porno, un'agenzia turistica che spunta prezzi stracciati per i viaggi degli immigrati, un teatrino d'essaie, ricavato in un sottoscala e sovvenzionato dal Comune, che ospita i lavori dei "creativi" allineati con l'ideologia politica vigente, il biglietto costa pochissimo, ma per due ore siete costretti ad assistere a merdate indescrivibili. E c'è poi don Salvatore con la sua salumeria e adiacente forno per pizze da consumare in piedi all'aperto. Di giorno i suoi locali si riempiono di file di lavoratori che nell'ora di stacco vanno a prendersi una fetta di margherita o un panino imbottito. Ma di sera tutta la piazza è inondata di macchine, di moto e di gioventù, birre,tranci di pizza, panini caldi e un gran vociare.
C'è anche un ragazzino che spaccia fumo per canne e cocaina, e circola indisturbato tra i veicoli.
D'estate, qualche anziano operaio in pensione si affaccia al balcone per ristorarsi al venticello della sera che arriva dal mare, e guarda tutta quella folla eterogenea assiepata sotto l'enorme cedro del Libano piantato in un'orribile aiuola di calcestruzzo, tutta tappezzata di lattine e di tovagliolini di carta.
Guarda e pensa. Chissà a che pensa.

sabato, dicembre 16, 2006


Napoli che muore (14)
Avevo un'amica simpatica che mi narrava di quand'era piccola e di sua madre che la vestiva con pizzi, merletti e scarpine di vernice nera, e le attorcigliava i lunghi capelli biondi in boccoli tenuti fermi da fiocchetti rosa, e la portava a spasso per il Vomero, e tutti si fermavano a guardarla, emettendo gridolini di ammirazione. E lei, che camminava sempre a capo chino, piena di rabbia e di ribellione, quando una mamma in visibilio introduceva le dita nei suoi riccioli e sospirava:"Quanto sei bella, sembri proprio una bambola.", lei puntava lo sguardo fiero, pieno di freccette avvelenate, in quello intenerito della donna, e sillabava la parola "culo".
A quel punto sua madre la strattonava sibilando:
"Non si dice, non si dice."
"Perchè?" chiedeva lei.
"Perchè pare brutto."
E lei, piccola diavolessa, obiettava:
"Pare brutto che t'aggio scassato 'o juoco, eh?"
C'era da aspettarsi molto da un cervellino tanto vivace. E invece il piccolo genio, crescendo, è diventato identico a sua madre.
Giorni fa, parlando di persone non gradite, si lamentava di doverle per forza invitare a cena.
"Perchè per forza?" ho chiesto.
"Perchè se no pare brutto." mi ha detto convinta.
Avevo un'amica simpatica che si è trasformata in una conoscente.

lunedì, dicembre 11, 2006

NAPOLI CHE MUORE (13)

Quiz:

Due amici si incontrano.
"Stasera che fai?"
"Io? Vado alla notte bianca. E tu?"
"Io vado dalla Bianca a passare la notte."

Determinare chi dei due passerà "la meglio nottata".

domenica, novembre 26, 2006

NAPOLI CHE MUORE (12)


Qualche anno fa , durante un'intervista, (oggi tutti, prima o poi, veniamo intervistati, fa parte del sistema, non quello della camorra di cui parla Saviano, quello dei media che, quanto a potere, non gli è dameno) un giornalista mi chiese:
"Lei fa parte di quei napoletani che vogliono andarsene o di quelli che vogliono restare?"
Risposi che avrei potuto andarmene quando volevo, e che tuttavia rimanevo.
Fortunatamente non mi chiese perchè, forse aveva già tratto le sue personali deduzioni, ma io comunque non avrei saputo rispondergli.
Non lo sapevo perchè volevo restare. Non lo sapevo ancora.
Oggi forse non direi niente, mi limiterei ad un sorriso amaro, perchè se è pur vero che non me ne sono andata, è vero anche che sono sempre sul punto di andarmene, vivo arroccata su una cuspide, metà di qua, metà altrove.
Ma altrove dove?
Conosco ragazzi pieni di talento che si danno molto da fare senza riuscire a trovare uno sbocco concreto.
Conosco gente che è stata rapinata sette, otto volte.
Conosco Rosario che imballa trasporta e sballa opere d'arte museali d'un valore assoluto, per le grandi mostre, con una perizia e una disinvoltura da togliere il fiato.
Conosco Svetlana che è arrivata qui dal Caucaso, col suo bagaglio d'esperienza e di cultura, verso cui provo grande rispetto, e combatte ora per ora per resistere, per guadagnare quattro soldi che al nord, con la sua tenacia e capacità lavorativa, si moltiplicherebbero per quattro, per sei.
Conosco professionisti che lasciano lo studio per tornare a casa, la sera, armati di pistola e con i soldi della giornata infilati nei calzini.
Conosco Alessandro il veterinario, che cura gli animali senza paranoie animalistiche. con una capacità notevole, il numero del portatile sempre a disposizione di tutti, giorno e notte, ricco di intuito nel fare le diagnosi, ad onta del suo continuo studiare sui libri.
E mi chiedo perchè anche tutte queste persone rimangano, perchè si limitino a lamentarsi, perchè rinuncino a vivere e si accontentino di sopravvivere.
Perchè non riescano a trovare il coraggio di ricominciare tutto altrove.
Ma altrove dove?
Ci fu un tempo in cui me lo chiedevo anche per gli ebrei. Perchè avevano sopportato che i loro negozi saltassero per aria, che i loro figli venissero confinati in banchi separati nelle scuole, perchè persone tanto intelligenti erano rimaste immobili di fronte alla ferocia dei nazisti, immobili fino a farsi massacrare.
Io pensavo che per salvare i propri figli si può andare anche a pulire i cessi in qualsiasi parte del mondo, non per eroismo, nè per vigliaccheria, ma per mera legge di sopravvivenza.
Dicono: si restaperchè fa comodo, perchè ognuno anche all'interno della merda trova il proprio tornaconto.
Non è vero , questa è una sporca menzogna che fa comodo solo a chi la enuncia per scaricarsi la coscienza, lì dal calduccio nel quale si è sistemato.
Perchè conosco anche tanti che se ne sono andati e poi hanno iniziato a pontificare, magari a farci su anche i quattrini, con gli articoli, gli show. le inchieste e i libri.
Conosco anche gente che parla di questa città in politichese e usa parole come "territorio" e "progettualità", e politici che fanno gli scaricabarili e cascano sempre in piedi, molto più pericolosi della stessa camorra.
E conosco una massa di "creativi", produttori di inconsistenze, che qualcuno ha convinto d'essere geni incompresi, e che farebbero molto di meglio se, con un po' di modestia, si occupassero di lavori più utili e concreti.
Il libro di Saviano non mi ha messa in crisi, non mi ha indignata, le cose che ha scritto, e scritto benissimo, le sapevamo già tutti per sommi capi, le sapevamo a nord, sud, est ed ovest.
Ma mi ha fatto riflettere.
Perchè quando parla della capacità imprenditoriale delle "famiglie" camorriste mi sono chiesta: e se questa indiscutibilke capacità venisse svolta in un modo più legittimo, meno cruento, meno bestiale, non potrebbe diventare utile a tutti?
In fondo questi camorristi con le loro barche miliardarie, le loro Ferrari. i loro abiti firmati prodotti da loro stessi, i loro rubinetti d'oro simili a quelli dei petrolieri arabi, vivono una schifezza. Non sanno educare i loro figli che quasi sempre finiscono delinquenti o dro0gati come i loro genitori. Vivono armati e con la scorta per la paura d'essere fatti fuori, come i professionisti che tornano a casa la sera.
A che servono i soldi se non te li puoi godere in piena libertà?
E libertà non è fare tutto quello che ci passa per la testa, libertà è equanimità.
E poi c'è una domanda fondamentale.
Esistono i drogati perchè c'è il traffico della droga, o esistono i trafficanti perchè c'è una richiesta di mercato?
Un bambino un giorno gridò che il re era nudo e tutti volevano zittirlo.
I virus, i bacilli, i microbi conduttori di malattie hanno bisogno di terreno fertile per poter allignare e riprodursi.
E allora, cari democratici di destra, di centro, di sinistra, diamoci una regolata e facciamoci un bell'esame di coscienza, perchè, chi più chi meno, siamo tutti responsabili della grande porcheria nella quale ci siamo costretti a vivere.
E se molti napoletani esasperati cominciano a gridare che soltanto una dittatura potrebbe salvare questa città, senza nemmeno rendersi conto di che razza di dittatura vanno parlando, e senza capire di quali colpe siano essi stessi responsabili, sarebbe il caso di cominciare a liberarci di queste pesanti vessatorie politiche che ci hanno convinti d'essere geni incompresi e hanno fatto sparirte i sovvenzionamenti della UE. Ricostruiamoci un'identità, rinasciamo, liberiamoci dalle idee e dal linguaggio precostituito che ripetiamo come pappagalli
E,anzichè lamentarci davanti a una pizza con gli amici,urliamo, siamo i più grandi urlatori del mondo, urliamo che la droga, tutta la droga, anche le canne, scomodo eh?, fottendocene totalmente del fatto che questa sia un'idea di destra o di sinistra, ci spappola il cervello, ci fa commettere errori madornali, distorce la visione del mondo, crea perversioni pericolose, e che drogati e spacciatori non vivono solo a Napoli, che la politica faziosa o corrotta rovina la società, ma non solo a Napoli, dappertutto, che la camorra è un sottoprodotto della mafia che alligna su tutto il pianeta. Che solo cambiando le nostre abitudini sessuali, e questo l'hanno detto gli scienziati del settore al termine del loro ultimo convegno tenuto in Italia, potrà essere debellato l'Aids dilagante su tutta la terra, ricca e povera;che il benessere va condiviso, ma anche l'educazione, il rispetto e l'incivilimento; che non è concepibile che solo le "famiglie" dei camorristi funzionino al meglio mentre le nostre vanno allo sfascio.
E gridiamo soprattutto che non sta morendo solo Napoli, anche se questo non è di conforto, sta morendo la civiltà dei consumi e dei vizi, sì ho detto proprio vizi, ed è su questi vizi che la camorra prospera.
E che prima o poi arriveranno i barbari, sempre arrivano quando una società si è fatta debole, i barbari sanguinari, violenti, primitivi, altro che camorra!, con un sistema immunitario morale discutibilissimo ma integro e da fare invidia, perchè noi il nostro l'abbiamo gettato nelle fogne.
Forse è per questo che non me ne sono andata ancora da questa città, perchè ormai so che senza una rivoluzione, non quella del sangue e dei massacri, una rivoluzione delle coscienze, ma non solo di quelle napoletane, quest'epidemia repellente, questo gusto dell'orrore, quuesto compiacimento del male, non risparmierà nessuno.
Scusatemi, oggi mi sento molto populista, sono incazzata nera.
E non ho voglia di ridere.

domenica, novembre 19, 2006

Napoli che muore (11)


C'è una persona che amo, una persona che è fuggita da Napoli perchè qui non trovava lavoro, e che sempre, quando può, ritorna perchè non è riuscita a sradicarsela dal cuore. L'ultima volta che è arrivata dal Paese in cui vive, un Paese non ancora entrato nella UE, subito mi ha annunciato che voleva visitare la mostra su Iside allestita al Museo nazionale.
Ne è tornata entusiasta:
"Una cosa eccezionale, bellissima, esauriente. Qui ci sono tesori che soltanto gli addetti ai lavori conoscono. Altro che notti bianche. Ho comprato il catalogo. Guarda qui." Sfogliava le pagine, commentava, dava spiegazioni, aggiungeva particolari non contenuti nel volume.
Ne abbiamo parlato sino all'alba, ed è stato un vero arricchimento culturale.
Ma quando le ho chiesto se c'era gente, ha detto:
"Sì, moltissima. Tutti stranieri però."
"Possibile che di sabato non ci fosse nemmeno un napoletano?"
"Ho visto solo una nonna che conduceva due bambini per mano".
Forse, se Napoli non morirà, dovremo tutti ringraziare quella nonna.

sabato, novembre 18, 2006

NAPOLI CHE MUORE (10)


Mi è giunto un messaggio da un'epoca remota, forse antidiluviana, forse da dittatura sovietica, forse da un'associazione anticamorra, forse dai miei nonni defunti.
Eccolo, tradotto in napoletano:


MAZZE E PANELLE
FANNO 'E FIGLI BELLE
PANELLE SENZA MAZZE
FANNO 'E FIGLI PAZZE.


Chiedo venia e buon pro vi faccia.

giovedì, novembre 16, 2006

NAPOLI CHE MUORE (9)


Domenica pomeriggio è venuto l'idraulico a controllarmi la caldaia dell'acqua calda.
Dopo una breve ispezione ha detto che occorreva solo cambiare le pile.
Intanto gli avevo preparato un caffè. Ci siamo seduti e mi ha narrato di come abbia iniziato a lavorare ad otto anni con uno zio. Delle ultime prodezze della sua bambina. Di come abbia estinto un debito accendendone un altro, e guadagnandoci mille euro. Di come sia intervenuto in un tentativo di scippo a due ragazzi su un motorino mettendo in fuga i malviventi. Dei numeri che gli dà la nonna nei sogni, mai più di due alla volta però, perchè non deve prendere il vizio del gioco. Di come suo cugino abbia vinto senza raccomandazioni il concorso per un posto d'operaio nell'acquedotto. E del suo sogno di avere Internet.
Il tempo trascorreva piacevolmente. E quando alla fine gli ho chiesto quanto gli dovevo, lui ha sorriso:
"Che mi volete dare? Io non voglio niente. Per questo sono venuto di domenica. A casa vostra ci sto bene".
Poi, estraendo da un taschino del giubbotto un bullone di ottone nuovo di zecca,
"Tenete," ha detto porgendomelo "vi porterà fortuna, Voi meritate."
Ho contemplato per tutta la sera, con emozione, quell'oggetto come un reperto archeologico d'oro massiccio, appartenente ad un'antica civiltà scomparsa, che aveva attraversato bui corridoi di ignoranza, delinquenza, malcostume e indifferenza, per giungere fino a me così pulito, intatto, senza la più lieve scalfittura.
E questa è Napoli che muore.

martedì, novembre 14, 2006

NAPOLI CHE MUORE (8)


Una bambina napoletana di tre anni ascolta la mamma che le racconta la favola di Cappuccetto rosso. Giunta al punto in cui la mamma dice:"Gnam, e il lupo si mangiò Cappuccetto rosso.", la bambina è costernata, le si forma una piega tra i sopraccigli, stringe i piccoli pugni e sibila indignata:"Ma allora questo lupo era proprio uno stronzo!".
Ormai è fatta, certe parole sono entrate nel lessico dei bambini, non si scandalizza più nessuno, nemmeno le suore, credo, perchè hanno perso il loro significato primario, fanno parte di un sottoinsieme di significati. E stronzo può voler dire sia "cattivo" che "stupido". E se proibite ai bambini di pronunciare certe parole ne farete degli emarginati, o peggio, degli ipocriti. Perchè a scuola, in televisione, sui giornali vengono usate da tutti.
Chi o che cosa abbia determinato questo linguaggio in nome della libertà non si sa, o meglio, si sa ma non si può dire, diversamente verrete tacciati di "perbenismo" che è una malaparola moderna.
Un'altra malaparola moderna è "normale".
Non vi azzardate mai a dichiararvi normali. Sareste prima aggrediti da psicologi, sociologi, politici, opinionisti, tutti molto scandalizzati, che vogliono mettervi a tacere, poi sareste sistemati nel silenzio di tomba per colui che non può essere nominato, dal quale potrete risorgere soltanto quando inizierete ad inserire nella vostra parlata parole come "merda", "cazzo" e "vaffanculo", (solo per principianti, per gli esperti ce ne sono di molto più elaborate)e soltanto allora, avendo dimesso la "normalità", sarete finalmente dei rispettabili "integrati": E avrete persino un seguito.

domenica, novembre 12, 2006

NAPOLI CHE MUORE (7)


Parte di Napoli è situata nella collina tufacea che è stata scavata per costruire gli edifici. Ed è frequente la presenza di un ascensore, chiuso nella roccia, condiviso da due condominii con due regolari portieri, che conduce dal palazzo a livello stradale ad uno sovrastante. Ciò costituisce un vero problema per chi soffre di claustrofobia, perchè l'alternativa è un lungo percorso in salita di gallerie sotterranee che ricordano i ricoveri antiaerei della seconda guerra mondiale.
Il posto di portiere del fabbricato A, quello a fronte strada, Pasqualino l'aveva ottenuto tramite il dr.Porcelli che ne aveva caldeggiatio l'assunzione in assemblea condominiale. In cambio Pasqualino si era impegnato a mandargli la moglie a casa "per fargli i servizi", oscura espressione che prevede di tutto.
Dopo essersi studiato il contratto di lavoro della categoria e il regolamento di condominio, Pasqualino aveva deciso di accettare il previsto alloggio retrostante la guardiola, di fianco all'ascensore.In questa umida e ombrosa minicasa, costituita da una camera con bagno, ricavati in una grotta, e dal vano cucina abitabile, di due metri per tre, con finestrino a grata che affaccia nell'androne, Pasqualino aveva sistemato alcuni posti letto che fittava agli extracomunitari. Proibito ubriacarsi e fare chiasso, ricevere amici e stendere panni se non nel bagno di un metro per due. Obbligo di sostituirlo nei giorni di permesso o di ferie, e di pulire l'atrio, le scale e i percorsi sotterranei, con relativa rimozione dei rifiuti a mezzo di un carrello e vivo compiacimento degli abitanti del fabbricato B che lo rinfacciavano ogni giorno al loro portiere ritenuto uno scansafatiche. Nonchè promesse di lavoro, con eventuale permesso di soggiorno, attraverso la sua agenzia di collocamento, virtuale, per posti di colf, badanti, elettricisti ed idraulici di pronto soccorso, imbianchini, eccetera.
Con tutta questa organizzazione, Pasqualino non se la passava male. Sua moglie, dopo qualche mese di servizi a casa del dr.Porcelli, aveva aperto un negozietto di detersivi a fronte strada di cui lo stesso era proprietario. Quanto a lui, Pasqualino, figlio unico di madre vedova, aveva l'appartamento di famiglia a Bagnoli e preferiva abitare lì.
S'era fatto amico dei postini e dei corrieri, ben contenti di consegnargli anche le lettere e i pacchi destinati al fabbricato B, ed evitare in tal modo quel famigerato ascensore. E quando passavano i condomini del palazzo sovrastante,
lui faceva le consegne, con relativa mancia, come fosse anche il loro portiere. Oppure sollecitava un extracomunitario, appostato ad hoc nell'androne, a portare le loro borse della spesa o il loro cane a fare pipì.
Ovviamente tutti sapevano e tutti tacevano perchè tutto faceva comodo a tutti.
Qualcuno, è vero, talvolta si era lamentato per l'acuto odore di spezie proveniente dal finestrino della cucina, ma Pasqualino, pronto di parola aveva ribattuto:
"Scusate, ma non sarebbe peggio la pasta e cavolfiore?"
E' accaduto così che una mattina il portiere del fabbricato B, un laureato in legge la cui famiglia aveva dovuto sborsare ventimila euro per fargli ottenere il posto,
quando Pasqualino, che aveva affittato l'appartamento di Bagnoli e sistemato la madre presso parenti, gli ha chiesto se poteva alloggiare a casa sua, ha estratto una pistola e gli ha sparato.

venerdì, novembre 10, 2006

NAPOLI CHE MUORE (6)


Erri De Luca scrive su Vanity Fair che "Napoli è viva" e "che emergenza è quando uno si aggira in una città italiana alle nove di sera ed è tutto spento, ammutolito e uno si chiede quando finisce il coprifuoco".
Mi torna in mente un episodio narratomi da Domenico Rea -quanto mi manchi Mimì!- che trovatosi in una città del nord per una conferenza, preferì salutare i suoi ospiti dopo aver cenato e tornare a piedi.
Avviatosi lungo un viale del centro, buio e silenzioso, fu invaso da una terribile tristezza che aumentava via via che procedeva verso l'albergo. Fino a che non intravide nell'oscurità la piccola luce rossa d'una farmacia e bussò.
"Ho bisogno di parlare con qualcuno." disse.
"Guardi che io non posso. Sono qui solo per darle un medicinale." obiettò il farmacista.
"Allora mi dia una pasticca di cianuro, perchè in tutto questo silenzio mi posso solo suicidare." disse Mimì.
E Napoli è certo viva. Ma come? Anche i detenuti sono vivi. Ma esistono modi migliori d'essere vivi.

giovedì, novembre 09, 2006

Napoli che muore (5)


Carletto mi ha insegnato a ballare il flamenco quando avevo otto anni.
Fummo da lui ospitati per più d'un mese quando ci cacciarono dall'albergo perchè non potevamo pagare il conto. Lui cucinava le minestre benissimo: pasta e patate,pasta e fagioli, pasta e piselli, pasta e ceci, pasta e lenticchie. Finchè vivrò mi resterà la memoria di quelle minestre che sapevano di casa. Verso le otto di sera arrivava il suo grande amore che faceva l'idraulico, un tipo con la mascella dura e per niente disinvolto che emetteva suoni, boh, beh, bah, ma non parlava mai.
Dopo mangiato Carletto faceva il varieté. Si toglieva la vestaglia dentro la quale viveva durante il giorno e si avvolgeva in un enorme scialle di seta rosso.
Metteva sul grammofono il disco della Carmen di Bizet e dava inizio allo spettacolo.
Io sgranavo gli occhi quando assistevo a quella trasformazione. Sapeva inarcare le reni con una grazia speciale mentre batteva le nacchere e picchiava coi piedi il vecchio pavimento di maiolica.
E quando arrivava al punto in cui Carmen canta:"E' l'amore uno strano augello che nessun può addomesticar...", spazzolava con le frangie d'un angolo del suo scialle l'infracoscie dell'idraulico, il quale arrossiva e restava immobile a subire quelle incursioni.
Era così viva quella casa, così domestica, così calda, era ciò di cui avevamo bisogno in quel periodo un po' complicato della nostra vita.
Carletto ha vissuto fino a novant'anni. Era un gay senza problemi. Ed era generoso, caustico quanto basta, materno e passionale. Si occupava di antiquariato e frequentava molte belle case napoletane.
Ma ho conosciuto anche gay cattivi, volgari e invidiosi, vere fotocopie di molti etero facenti parte della fauna umana.

lunedì, novembre 06, 2006

Napoli (4)

Però una verifica a quello che mi ha detto il veterinario l' ho voluta fare, e sono andata a piazza dei martiri. Per non essere troppo notata con la camera digitale, anzi per essere proprio evitata, ho indossato un abbigliamento da povero, necessariamente firmato, e mi son messa accovacciata a terra a chiedere l'elemosina. Ogni passante faceva una corsetta di cinque metri, due metri all'avvistamento, uno al passaggio obbligato davanti alla mia persona, e due al superamento, perchè non si sa mai magari questa mi urla pure una parolaccia. Col freddo cane che faceva non è stata impresa facile, ma il mio travestimento ha funzionato.
E' passata la signora Benemeriti, con la quale avevo scambiato due parole alla cena dell'assessore, "siamo ormai tutti nelle mani dei poteri forti", l'avvocato Veloci difensore della causa decennale che mi sta distruggendo la vita, il ragazzo Fofò che si è fatto arredare la casa stile obitorio e costringe la gente a mangiare poltiglie prive di identità piazzate a mucchietti direttamente sul marmo, e nessuno si è accorto di me, tutt'un fuggi fuggi. Quanto ai motociclisti ho scattato un bel po' di fotografie, uno nel salire sul marciapiede stava perdendo l'equilibrio e mi stava piombando addosso. Lui m'ha guardata e ha detto "che cazzo!", ma per fortuna non mi ha riconosciuta perchè era il figlio di due cari amici.
Un attimo dopo, forse per il fenomeno della sincronicità descritto da Jung, è passato il signor Cazzato che ha fatto scivolare nel mio scialle di cachemere 50 centesimi, e poi, purtroppo, è arrivato Bertolini.
"Ciaaao, come stai"
"Fa un po' freddo."
"Eh, ma hai uno scialle superbo."
"L'ho comprato in India."
La sua moto romba e il tubo di scappamento si sfoga come un forsennato.
"Sai vivere tu! Ma come stai?"
"Con la puzza sotto al naso."
"Ma che fai qui a terra?"
"Sto aspettando un amico che deve passarmi a prendere con la moto."
Si gira a guardare i paletti:
"Che rottura di palle. Ci hanno costretti a diventare gente da marciapiede. Chissà dove andremo a finire di questo passo."
"Infatti."
Ma è già salito un altro motociclista e strombazza per poter passare.
"Che schifo di traffico. Beh, ci vediamo."
Ho inviato tutte le foto con targa al veterinario.

venerdì, novembre 03, 2006

Napoli che muore (3)


Mi ha telefonato il veterinario che ha salvato Tebby da morte sicura. Provo quindi nei suoi confronti un vivo senso di gratitudine, anche se, per salvare Tebby, mi ha sottoposto ai lavori forzati. Praticamente non avevo più un attimo libero per me. Dovevo occuparmi di lui notte e giorno, fargli inghiottire svariati farmaci, frizionarlo, praticargli l'aerosol, controllargli la temperatura, preparargli cibi speciali, fargli velocissimi bagnetti disinfettanti, cambiargli due volte al giorno le foderine del materassino. Alla fine Tebby stava bene ed io ero a pezzi. Ma Tebby aveva l'insopprimibile potere dei neonati, la cui vita dipende esclusivamente da te,
per cui mi ha completamente soggiogata, si è impossessato di me e adesso, questo piccolo stronzissimo cane, quando qualcuno viene a trovarmi, sentendosi trascurato, mi fa la pipì sul piede per chiarire che io sono il suo territorio e che comanda lui. Punto.
Questo veterinario, oltre ad essere bravo, ha avuto anche una grande pazienza, perchè io gli telefonavo quando mi pareva che Tebby stesse per tirare le cuoia, il che avveniva ogni mezz'ora. Quando arrivavo al limite della disperazione, cedeva alle mie richieste e veniva a casa mia, ma forse solo per calmare me, perchè per Tebby era già stato fatto più del possibile.
Ora gli avevo telefonato per pregarlo di visitare il mio blog, tanto per fare un piccolo controllo e capire se quello che scrivo può essere letto non solo da me, visto che mi scrivo addosso già abbastanza con word.
E' stato gentile e disponibile come sempre, contrariamente a numerosi amici che non mi hanno filato per niente, ma dopo aver letto NAPOLI CHE MUORE (2) si è scatenato l'inferno. Riporto la nostra conversazione in quanto credo possa interessare conoscere ciò che passa nell'animo di alcuni napoletani che hanno raggiunto il massimo dell'esasperazione.
"Lei non deve scrivere queste cose. Che vuol fare, dimostrare che i napoletani sono anche simpatici, onesti e persone perbene? Lei deve scrivere che i napoletani hanno quello che si meritano. In Italia esistono lo Stato vaticano, la repubblica di S.Marino, e il regno di Napoli. Ognuno di questi luoghi segue una propria legiferazione, l'Italia non può intervenire perchè le leggi italiane qui non sono adeguate e del resto non le applica nessuno. Occorrono leggi speciali che dovrebbero essere concepite sul territorio e per il territorio, perchè quello che succede qui non accade da nessuna altra parte. E i napoletani che se ne vanno si allineano perfettamente ai Paesi in cui si trasferiscono, non delinquono più, rispettano le leggi e si inciviliscono. Ci sarà pure una ragione per tutto questo. E' proprio la napoletanità che va combattuta, la delinquenza è solo il risultato visibile di tante trasgressioni quotidiane che tanti napoletani commettono. Le faccio un esempio. A piazza dei Martiri, il cosiddetto salotto di Napoli, hanno sistemato dei paletti per impedire la circolazione delle auto. E che fanno i motociclisti? Anche stimati professionisti, sì li ho riconosciuti perchè li conosco bene, li ho visti salire con la moto sul marciapiede per passare dall'altra parte senza fare il senso obbligato.
E i semafori? Ma chi li rispetta in questa città?
Perchè non mettono una videocamera? Perchè i vigili non li fermano e gli fanno una bella multa?"
"Perchè forse hanno paura d'essere sparati." obietto timidamente "Una volta, ad un semaforo, c'era uno dietro di me che strombazzava per farmi passare col rosso,
ho chiamato il vigile per far smette quel baccano, e lui mi ha detto:"Passi, vada pure, non vede che brutta faccia ha quello?" Anche le forze dell'ordine, che possono fare quando le famiglie dei delinquenti si scagliano per difendere i loro parenti?"
"Ecco. Appunto. Queste famiglie dovrebbero essere messe su una nave e mandate in Libia."
"E che facciamo? L'immigrazione all'incontrario? E poi perchè i libici dovrebbero prenderseli?"
"Allora bisognerebbe dividere la città in tanti territori, mettere delle frontiere, creare dei passaporti e i pedaggi doganali..."
Non riuscivo più a fermarlo.
Volevo dirgli che non siamo come gli spartani che i figli malati e deformi li gettavano dalla rupe. Volevo dirgli che i figli malati bisogna curarli come avevamo curato Tebby. Ma poi all'improvviso mi sono ricordata di un funzionario della FAO che ad un congresso sulla fame nel mondo, tenuto a Roma nel 1996, aveva detto che si spendono più quattrini per nutrire cani e gatti che per risolvere il problema dei bambini affamati. E ricordavo bene il silenzio di tanti giornali.
"Quando le autorità locali tagliano nastri, inaugurano mostre, parlano di treni veloci, di un nuovo rinascimento, ma come si fa a non sentirsi presi per il sedere? Perchè non ci liberano invece dalle immondizie?" continuava il dottore.
Intanto Tebby, seccatissimo per questa lunga telefonata che lo privava della mia attenzione, stava provvedendo ad applicare il suo passaggio doganale. Uno strano tepore mi stava invadendo il piede intirizzito dal freddo arrivato all'improvviso.
Il mondo intanto aveva gravi problemi circa i cambiamenti climatici, ed io uno molto più piccolo di igiene alla caviglia.

(continua)

NAPOLI CHE MUORE (2)



Non ricordo più la via per la quale Svetlana, che intanto aveva italianizzato il suo nome in Lucia, è entrata nella mia vita (o forse l'ho soltanto sognata che è lo stesso).
Quando la ebbi di fronte capii immediatamente quanto fosse tosta, determinata, piena di iniziative, incorrotta e a disagio, e le proposi subito di trasferirsi da me.
"Lei è russa?"
"No, io non essere russa."
"Mi scusi, ma non viene dall'ex-unione sovietica."
"Ben sicuro. Ma non russa. Io Caucaso, non russa."
"Ma appartenete allo stesso Stato."
"Stesso Stato non essere stessa razza. Russia molte razze, grande Paese, non come Italia. E non tutte razze buone."
"Ma allora lei è razzista."
"Io non razzista. Io non nazista, io democratica ex-comunista."
"Capisco."
"No, voi non capire. Italiani non capire. Nemmeno comunisti italiani capire. Ma voi persona intelligente e voi con tempo capire."
Mi aveva narrato che aveva trovato alloggio presso un'anziana ucraina che fittava i posti letto, la obbligava a fare solo una lavatrice a settimana a non più di 40 gradi, eliminando dal programma la centrifuga che accorcia la vita dell'elettrodomestico. Questa diabolica ucraina s'era fatto costruire dal marito un timer nell'erogazione del gas, per cui le operazioni culinarie non potevano durare più di venti minuti, e lo stesso valeva per l'acqua calda. In più, la invitava ogni giorno a rubare un po' di detersivo per i piatti nelle case in cui lavorava diluendo il rimanente con un po' d'acqua.
"Ucraina non onesta." dichiarò.
"Va bene. Lei però si faccia restituire i soldi che le ha dato in acconto deposito."
"No, no, lei non mi dare, io lascio tutto."
Questa sua prodigalità m'era piaciuta perchè nel mio bagaglio genetico c'era un po' di mania di grandezza proveniente da alcuni dominatori spagnoli miei antenati.
Fu così che lei si sistemò in casa mia.
All'inizio agiva con prudenza tenendomi sotto osservazione. Nonostante i soviet l'avessero educata all'egualitarismo non riusciva a mettere a fuoco quali fossero le sue funzioni nella mia vita. Quando rientrava la sera stracca di lavoro e trovava la sua camera in ordine, la tavola apparecchiata e la cena pronta non ci provava nemmeno a diminuire astutamente l'entusiasmo, ma restava poi perplessa a chiedersi in quale regioni della mia mente si nascondessero i motivi di quell'accoglienza. E si aspettava da un momento all'altro qualche richiesta che non aveva saputo prevedere.
Io, per conto mio, facevo di tutto per farle capire che non avevo bisogno di compagnia e che mi piaceva molto stare sola tutto il giorno a lavorare a casa.
Lei usciva molto presto la mattina, caricava per le cinque e mezza la piccola sveglia che le avevo regalato, e alle sei e mezza era già fuori nell'aria ancora buia.
Non sempre mi svegliavo quando se ne andava, ma una mattina mi accorsi che s'era affacciata nella mia canmeretta e che, essendomi addormentata col televisore acceso mentre trasmettevano un dibattito politico, adesso avevano mandato in onda un film porno. Restammo a guardarci imbarazzate davanti a quei culi, a quelle tette e a quei piselli. Io sapevo che ancora non si fidava di me, perciò non diedi spiegazioni.
Lei però, pur essendo una grande moralista, accennò un sorriso di falsa complicità.
"Erotismo,eh?"
"No, pornografia."
"Voi piacete questo?"
"No, no, stasera le spiego."
Spensi il televisore e lei fuggì al lavoro.
Quando rientrava mi narrava di tutti gli uomini single per cui lavorava, e di tutte le proposte che riceveva da quelli che volevano espandere le sue mansioni domestiche. Erano così ridicoli quegli uomini che proponevano pizze, profumi, fine settimana.
"E lei che dice?"
"Io non parlare perchè onesta e non zoccola."
"Allora deve dire che lei non fa lavatura e stiratura." E le mostrai il grande gesto che faceva Totò in uno dei suoi film. Così si beccò due subitanei licenziamenti. Ma non me ne volle perchè si stava tranquillizzando sulle mie intenzioni e cominciava a considerarmi un po'la sua famiglia.
Dopo cena trascorreva un'ora china su un quaderno sul quale riportava tutte le parole che aveva udito durante il giorno e che aveva annotato su foglietti. Andava a cercarsele sul vocabolario, un vecchio volume che aveva portato dalla Russia, stampato nell'800, che riportava parole italiane e frasi idiomatiche ormai in disuso, e dopo averle tradotte le trascriveva.
Ammiravo la sua diligenza, anche se scoppiavo a ridere quando dandomi del voi mi diceva:
"Sentite, a dirla franca, quello uomo depravatore che ha visto miei denti d'oro."
Prima di partire s'era infatti curata i denti e si era fatta sistemare due capsule d'oro, convinta che fossero un segno di prestigio. Questo naturalmente succedeva anche in Italia, ma all'epoca dei miei nonni.
"Però lui vuole fidanzamento."
"Che tipo di fidanzamento?
"Fidanzamento è fidanzamento. Sposare e fare famiglia."
"Ma è una cosa sicura?"
"Molto sicura. Lui vuole conoscere voi per chiedere mia mano. Perchè voi siete mia famiglia italiana. Voi dovete preparare bella cena di fidanzamento."
Fu così che conobbi Salvatore. Era un napoletano piuttosto tradizionale, molto ben educato, di origini modeste, Lucia mi aveva detto "ch'era figlio di operai comunisti ma non come soviet". Arrivò in cravatta, stipato in un completo blu che gli andava un po' stretto.
Subito capii che avevo sbagliato con le mie crudité, perchè Salvatore aveva tutta l'aria di un pastaiolo convinto, del resto il mio cane aveva già provveduto a leccarsi tutto l'olio delle scodelline sulla tavola.
Un Salvatore amabile e molto timido che mi porse con imbarazzo un gran mazzo di fiori, e sedette in silenzio.
Parlai io facendo la mia parte.
"Dunque lei vuole sposare Lucia."
"Sì."
"E' già stato sposato?"
"No."
"Vive da solo?"
"No, con mia madre"
"E sua madre lo sa?"
Si agitò un po' sulla sedia.
"Non ancora."
Intervenne Lucia con la sua faccia mongola, gli zigomi alti, e il sorriso d'oro.
"Lui dice tempo al tempo."
"Quanti anni ha?"
"Quarantuno."
"Non ci sono problemi?"
"Per me no. Perchè lui non alcolista e non puttaniero."
Erano i due problemi sovietici che l'avevano costretta a divorziare da due mariti.
"E dove contate di sposarvi?"
Lui lo disse come se tutto dovesse avvenire sul pianeta Marte.
"In Russia."
"E perchè in Russia?"
Lucia disse in fretta:
"Perchè in mio paese è tutto più facile." Aveva già messo in atto il suo grande spirito di iniziativa.
"Ma è valido poi il matrimonio in Italia?"
"Voi dire minchionaggini" ah, quel suo vocabolario! "Noi sposare ambasciata italiana a Mosca."
"Bene, bene. Allora festeggiamo." E aprimmo una bottiglia di spumante.
Ma quando Salvatore si congedò, lei mi guardò col suo sguardo obliquo che le aveva lasciato Gengis Khan e disse:
"Lui vuole toccare me in macchina. Ma non avere diritto. Perchè lui non essere mio amatore, ma solo fidanzato. Se non vi piacere a voi Salvatore, io non me lo sposare."
Passai tutto il resto della serata a farle capire le ragioni, molto approssimative, per cui uno dovrebbe sposarsi. E mentre le passavo le informazioni che pretendono di dirigere la nostra vita, lei mi seguiva compunta, grata e anche terribilmente sprovveduta, dato che i soviet certe cose non gliele avevano spiegate, e adesso era giunto il momento di smaliziarsi un po', perchè quel Salvatore lì, ch'era sicuramente un pezzo di pane, avrebbe tirato fuori tutte le richieste che sua madre aveva soddisfatto, lungo una vita familiare di sacrifici e di rinunce.
E mentre glielo spiegavo Lucia annuiva col capo.
"Anche Caucaso essere così. Napoletani come gente di Caucaso. Donne come schiave."
"E allora perchè te lo vuoi sposare? Il permesso di soggiorno ce l'hai già."
"Voi non capite. Io lavorare dieci anni in Siberia. Siberia è bellissima, ma uomini tutti alcolisti e puttanieri. Io bisogna famiglia. Salvatore ha dolci occhi neri."
E mentre sovrappensiero viaggiavo nei gulag della Siberia assiderata in tutti quei gradi sottozero, lei improvvisamente cominciò a cantare oci ciornia tirando fuori una possente voce di soprano, e mi ritrovai al calduccio di tutto il bene che già le volevo.

(continua)

giovedì, novembre 02, 2006

NAPOLI CHE MUORE (1)


Napoli che agonizza in un letto di dolore circondata da militari.
Saviano ha descritto quest'agonia, e l'ha fatto bene perchè non è un reporter ma un bravo scrittore. Andatevelo a leggere, perchè ne vale la pena. E anzichè farvi trascinare dall'emozione, o dal punto di vista della sinistra in crisi, godetevi il suo stile narrativo. So che non è facile, perchè narra cose terribli,ma provateci lo stesso. O fate come vi pare.
Innanzi a questo libro certi episodi della mia vita che fino a ieri erano reali si sono trasformati in sogno.
Davvero non so più se li ho realmente vissuti.
A sedici anni, in un'epoca in cui le tute ricoprivano soltanto i metalmeccanici, passeggiavo per via Caracciolo indossandone una a quadretti bianchi e rossi che mi arrivava ai polpacci, un paio di zoccoli con tacchi a grattacielo,in testa un'enorme paglia multicolor con larga frangia, e al guinzaglio il barboncino nano bianco, reduce da un bagno in cui gli avevo applicato il cachet che usava mia nonna per riflessarsi i capelli. Con quel cane celeste e rassegnato procedevo sul marciapiede piena di stupore per tutte le macchine che si fermavano per rimorchiarmi. Oggi, che siamo ormai abituati all'orrore, non mi filerebbe più nessuno. Qualche volta mi avvicinavo al finestrino e chiedevo:
"Ne avete benzina?"
"Come no.C'è il serbatoio pieno."
"E allora camminate. Camminate."
Costava poco la benzina, ma la macchina non tutti se la potevano permettere.
E dava dei diritti che il mio vestiario incoraggiava. Il fatto è che ero molto stupida, e molto vergine.
Però quando poi andavo a Milano d'inverno e c'era il nevischio, le auto sfrecciavano nella fanghiglia, e senza pietà me la gettavano addosso, mi sentivo una povera disgraziata, una morta di fame del sud priva di identità. E quando salivo nella 500 di mio zio,"africa" mi gridavano e "lumumba", per via della targa. Io che non sapevo nulla di razzismo non li capivo, mi sembravano un po' fuori di testa. Avevo solo tanto freddo, dentro e fuori, e non vedevo l'ora di ritornare al sole. Poi, se viaggiavo col treno, dentro la stazione un portabagagli faceva uno strano verso, un po' volgare ma pieno di calore, aspirava l'aria attraverso i denti serrati, e mi gridava:
"Carnalità!"
Ed io sapevo d'essere tornata a casa.

mercoledì, novembre 01, 2006

Per uscire dalla trappola pietosa nella quale il buonismo vi ha sistemati occorre una forte dose di cinismo. I rompiscatole si debellano rompendo le scatole.

martedì, ottobre 31, 2006

Ad una mostra:
"Secondo te questa è un'opera filo-sovietica?"
"No."
"Filo-americana?"
"No."
"Filo-islamica?"
"No, è un philodendro dell'addobbo."