domenica, ottobre 28, 2007

Napoli che muore (118): Viagra e dintorni

Tgcom - Gli italiani scelgono il Viagra (clicca qui)





Da qualche giorno ricevo mail allarmate, e, visitando i blog di alcuni amici, riscontro la medesima inquietudine. Si sta alzando una marea di paura sotterranea, un mal di vivere a causa di un futuro compromesso, che prima era solo territorio degli artisti, quelli veri, gli ipersensibili, i visionari capaci di trasmettere persino immagini anzi tempo su quello che ci attende. Adesso, probabilmente a causa dei mezzi di informazione, e non per ispirazione, questa capacità di lanciare uno sguardo nel futuro ,non proprio allegro, pare si sia espansa verso la coscienza collettiva. E la domanda che sorge presso tutti è: che possiamo fare?

Certo, se abbiamo una ragione dobbiamo usarla, senza farci prendere dal panico o cadere nella trappola delle superstizioni. Ma forse occorre anche un bell'esame di coscienza, senza scagliarsi, è stupido ed inutile scagliarsi contro chi riteniamo responsabili di un fenomeno che si annuncia irreversibile e che coinvolgerebbe tutti.

Penso che il link più sopra riportato sia abbastanza indicativo e ci inviti alla riflessione,il cyberspazio può anche aiutarci e non soltanto dannarci. Si tratta di una ricerca Google sulle parole più cliccate in vari Paesi.

Cominciamo da noi e dal Viagra.

In un luogo in cui ci si trova a nascita quasi zero, e che quindi è abitato principalmente da vecchi, ed uso la parola col massimo rispetto, a cosa si può anelare se non ad un farmaco che renda ancora possibile il rapporto sessuale? Ma non sono soltanto loro, i vecchi, ad interessarsene. Il fatto è che un eccesso di licenza può condurre all'impotenza, perchè uno vuole sempre di più, come un affamato che non si sazi mai. E, dopo aver esplorato tutto il possibile, resta la fame, i mezzi si impoveriscono, e gli obiettivi anche.

Abbiamo dimenticato, l'ho già scritto ma lo voglio ripetere, ch'è una pura illusione il sogno prometeico di vincere la natura. La possibilità della generazione in vitro implacabilmente indebolirà le nostre voglie che furono create per la riproduzione. E questo non è un discorso religioso, ma è scomodo lo stesso. Perchè è proprio la funzione a creare l'organo, quando tale funzione decade, l'organo non ha più motivo d'esistere. Però io non mi sento apocalittica e provo pena per coloro che ci restano attaccati come all'ultimo pezzetto di carne rimasto sull'osso. E con questo non voglio dire che non mi piaccia, voglio soltanto dire che non lo voglio per forza.

Sono convinta che ci verrà dato dell'altro, magari per ora ancora inconcepibile, perchè i tempi della natura sono lunghi, ma ho fiducia. Ed ho fiducia perchè ho fede, perchè credo fermamente che sia Dio a regolare il mondo, anche se non siamo in grado di capirlo, innanzi ai problemi che ci pone consentendo il male, dando libero arbitrio a chi non è in grado di gestirlo.

Se i canadesi cliccano marjiuana, i marocchini Jihad, i messicani Britney Spears, gli americani l'amore, e così via, è sempre questione di carenze, di rivendicazione in nome di ciò che manca.

E stranamente, ma indicativamente, tra le parole più cliccate su Google manca la parola Dio.

Ma questo non lo vedo come una colpa, bensì come un impoverimento del mondo. E un'incapacità ad accorgersi che persino nell'interesse verso Britney Spears o Kate Moss, persino in quello per la marjiuana o Tom Cruise o la Jihad, ci sia tanta, ma proprio tanta, fame di Dio e di capacità d'amare. Perchè non v'è altro patto, altra regola, altra dottrina che questa: noi riceviamo l'amor di Dio e glieLo rendiamo amando gli altri, sino al sacrificio e alla rinuncia, se necessario.

E' l'unica richiesta che ci viene fatta. Non è da poco, certo, ma nemmeno l'amore di Nostro Signore è da poco. Perchè soltanto così possiamo ottenere un equilibrio ed uscire dalla paura.

NAPOLI CHE MUORE (119): Poesie

POETI DI STRADA

da "Pour un homme" di Viola d'Amore (con traduzione di Ueuè)


Elle etait le jardin des roses
au milieu du desert
l'esperance qui pousse le jour
gouttes de miel dans ma vie
Elle etait mon rire et mon jeu
et dansait sur ma main ouverte
Elle etait son corps nu
qui ma voix decouvrait en cachette
le faisant tressaillir chaque jour
Elle etait mon projet
renvoyé chaque fois à demain
la naissance imprevu du desir
et la rage aussi
la voyant parcourir le monde
si libre
Elle etait mon cadeau
ma vertige
cette bizarre bien-aimée.



Lei era un giardino di rose
in mezzo al deserto
la speranza che spinge il giorno
gocce di miele nella mia vita
Era il mio riso e il mio gioco
e danzava sulla mia mano aperta
Lei era il suo corpo nudo
che la mia voce scopriva di nascosto
facendolo trasalire ogni giorno
Era il mio progetto
rinviato ogni volta a domani
la nascita improvvisa della voglia
e la rabbia anche
nel vederla percorrere il mondo
così libera
Lei era il mio regalo
la mia vertigine
questa bizzarra prediletta.

sabato, ottobre 27, 2007

NAPOLI CHE MUORE (118): Lezioni d'amore.

da:"Lezioni d'amore" di Alain De Botton, ed. Guanda.


La natura di una maledizione è che la persona costretta a subirla ne ignora l'esistenza, è un codice segreto dentro ogni individuo, che si sviluppa nel corso di una vita, incapace tuttavia di trovare un'articolazione preventiva. Edipo è avvertito dall'oracolo che ucciderà suo padre e sposerà sua madre, ma la consapevolezza degli avvenimenti futuri non è sufficiente, si limita ad allertare l"io", non è in grado di disinnescare la maledizione codificata. Per scongiurare la predizione dell'oracolo, Edipo è cacciato di casa, ma va a finire ugualmente che sposa Giocasta: per lui, non da lui, è scritta la sua storia. Egli ne conosce il possibile esito, ne avverte i pericoli, eppure non può cambiarla...


Io però da quale malvagio destino ero segnato? Soltanto dalla mia impossibilità a dar vita a relazioni felici, la disgrazia più grande che possa toccare nella società moderna. Bandito dal boschetto ombroso dell'amore, ero costretto a vagare per la terra fino al giorno della mia morte, incapace di rimuovere quella condizione morbosa che induceva a scappar via da me coloro che amavo. Cercai un nome per questo male, lo trovai nella descrizione psicanalitica di coazione a ripetere, definita come:

...processo incoercibile e di origine inconscia, con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l'impressione molto viva che si tratti di qualcosa che è pienamente motivato nella situazione attuale. (J.Laplanche, J,-B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Bari, Laterza 1968.(NdT).


L'aspetto confortante della psicanalisi (se è lecito parlare in termini tanto ottimistici) è la quantità di significati che attribuisce al mondo in cui viviamo. Nessuna scuola di pensiero è più lontana dal concetto che il nostro mondo sia un'invenzione senza senso (anche negare significato è carico di significati). Il significato però non è mai lieve: il lessico dello psico-fatalista ha sottilmente sostituito le parole e poi con con la parola affinchè, con ciò identificando un paralizzante legame causale. Io avevo amato Chloe e poi lei mi aveva lasciato. Io amavo Chloe affinchè lei mi lasciasse. Il doloroso racconto del mio amore era un palinsesto, sotto cui era stata scritta un'altra storia. Sepolto nell'inconscio, un modello era stato forgiato, nei primi mesi o anni. Il bambino aveva respinto la madre, o la madre aveva lasciato il bambino, e ora il bambino/uomo ricreava il medesimo scenario, diversi gli attori ma identica la trama, Chloe dentro i vestiti indossati da un'altra. Perchè avevo scelto lei? Non era per la forma del suo sorriso o la vivacità della sua mente. Era perchè l'inconscio, direttore di scena del dramma interiore, riconosceva in lei un temperamento adatto al ruolo del copione madre/bambino, qualcuno che, con la sua tempestiva uscita di scena, con il necessario naufragio e dolore, avrebbe vincolato il drammaturgo.
------------------------------------------------------------------------------------------------
A questo punto occorre una riflessione di ordine pratico per le donne. Prima di iniziare una storia con un uomo informatevi bene sui rapporti che intercorrono tra lui e sua madre. Inducetelo a parlarne, così, come se niente fosse, magari nel corso di una buona cenetta a lume di candela che avrete preparato ad hoc. Se durante la narrazione scoprirete che ne è perdutamente innamorato e dipendente, congedatelo con garbo perchè a letto sarà una schiappa. Se al contrario vi rivelerà un rifiuto e una repulsione verso la figura materna, allora ponetevi a rischio, perchè potreste andare incontro ad una notte d'amore incandescente, ma soltanto se rientrate nel prototipo, e soltanto per una notte, perchè dopo essersi scalmanato nelle sue prestazioni incestuose, cercherà di farvi fuori con una scusa o un'altra, ciò che, se avete un po' di cervello, vi spingerà a svignarvela a gambe levate.
Ma se scoprite che l'uomo in questione ha un rapporto equilibrato con la propria madre, fatto d'amore, di devozione, di rispetto e di responsabilità, allora fate i salti mortali per non farvelo sfuggire, perchè vi trovate innanzi ad un individuo rarissimo. E con ciò intendo: UN VERO UOMO.

Ueuè

venerdì, ottobre 26, 2007

NAPOLI CHE MUORE (117): Il discepolo

da:"Poemi e racconti in prosa" di Oscar Wilde - Facchi editore, Milano 1923.


Quando morì Narciso, la fonte del suo diletto si mutò da una tazza di dolci acque in una tazza di amare lacrime; e le Oreadi vennero lacrimando attraverso i boschi, a cantare per la fonte e a darle conforto.
Ma quando videro che la fonte si era mutata da una tazza di dolci acque, in una tazza di amare lacrime, sciolsero le verdi trecce dei loro capelli, e le dissero:
"Noi non ci meravigliamo che tu pianga così Narciso, tanto egli era bello".
"Ma era bello Narciso?" disse la fonte
"Chi meglio di te lo dovrebbe sapere?" risposero le Oreadi "A noi sempre egli passava accanto indifferente, ma te cercava e si adagiava sopra le tue sponde, e guardava giù verso di te, e nello specchio delle tue acque rifletteva la sua bellezza."
La fonte rispose:
"Ma io amavo Narciso perchè, mentre stava adagiato sopra le mie sponde e guardava giù verso di me, io vedevo specchiata la mia bellezza nello specchio dei suoi occhi".

giovedì, ottobre 25, 2007

NAPOLI CHE MUORE (116): Una storia d'amore dentro una storia d'amore.

da"Un sorriso nell'occhio della mente" di Lawrence Durrell. Ed.Fazi

"...Un piccolo gruppo di psichiatri, tutti junghiani, avevano chiesto di incontrarmi per rivolgermi qualche domanda. Credo che fossero semplicemente curiosi di farsi un'idea di me e vedere se avessi tutte le rotelle a posto...Comunque sia, Vega era seduta in fondo, mi fissava, mi trapassava con lo sguardo, come se fosse in grado di contare ogni moneta che avevo in tasca...pensai che fosse la moglie o l'amante di uno dei medici presenti, benchè non riuscissi a stabilire quale. Comunque la serata terminò e ognuno se ne tornò a casa sua. Quindici giorni dopo la rincontrai per caso a Bounyon, dove ero alla ricerca d'un formaggio chiamato Vacherin. In realtà l'avevo dimenticata e mi dovette rinfrescare la memoria con dei riferimenti a quella serata piacevole ma certamente non memorabile. Andammo a prendere un caffè insieme e fu qui, in un triste bar, che cominciai a conoscere Vega. Per farla breve, nel mezzo di mille banalità, disse che lei era una vera lettrice all'antica. Ogni anno sceglieva un autore e di lui leggeva tutto. Aggiunse che quest'anno l'autore fortunato era stato Nietzsche ed era a metà strada. Perchè quest'osservazione ebbe un effetto immediato su di me? Perchè anch'io più o meno facevo così, un eco, per così dire. Da tempo raccoglievo e setacciavo materiali su Lou Andreas Salomé con la vaga idea di scrivere un saggio su questa notevole e dotata incantatrice, che da ragazza aveva stregato Nietzsche, poi ebbe un figlio da Rilke e in età matura si ritrovò ad essere amica e allieva preferita di Freud...Comunque sia, questo strano fregio di personaggi, alimentò la mia immaginazione. Avevo deciso di indagare nella storia della loro vita fino al lago d'Orta, che mi proponevo di visitare. Fu qui che il filosofo di trent'anni si dichiarò alla ragazza di diciotto, fu qui che egli tracciò l'intero scenario di Zarathustra! Una volta letto il taccuino che contiene i loro giochi domanda-risposta e gli enigmi basati su questioni filosofiche, appare piuttosto plausibile che alcuni brani del grande classico fossero effettivamente stati scritti da lei.. L'idea, per quanto inverosimile, mi intrigava...
-Che strano, dissi io, e lei fece eco con: -Perchè è strano?. Le dissi che stavo facendo una cosa simile e aggiunsi:-Domenica prossima vado a Orta per una settimana. Voglio vedere quel piccolo lago dove loro furono felici da giovani. Ho qualche idea che lei abbia contribuito a Zarathustra...
-Orta? Mi stava guardando davvero in modo molto strano, poi scoppiò a ridere. -Senta, mi disse,
arrivo proprio adesso dalla stazione. Ed estraendo dalla borsa una prenotazione ferroviaria, me la mise davanti sul tavolo... La data era quella del week-end seguente! La coincidenza era incredibile e tutti e due scoppiammo a ridere.
-Voglio visitare la piccola collina sacra con tutte le cappelle per cercare di scoprire quella in cui lui le dichiarò il suo amore, per ottenerne solo un rifiuto, giustamente, lui non era tagliato per il matrimonio e lei sarebbe stata una moglie disgraziata, sempre in movimento, sempre pronta a scomparire.
-Il Monte Sacro? -Sì, non ci sono mai stata. -Neanch'io. -Il suo biglietto è per una persona. Viaggia da sola? -Sì. -Allora ci possiamo rivedere. Vuole? -Certamente. Porterò i miei libri. -Sì, anch'io.
Fu uno di quegli strani incontri che accadono assai di rado nella vita e che la fanno risuonare. Ci stringemmo la mano con un po' di imbarazzo e ci salutammo. Quello sguardo azzurro risvegliò in me il ricordo di una poesia mezzo dimenticata che menziona 'il primaverile luccichio delle farfalle' in Coleridge...Tutto quello che mi ricordavo della ragazza bionda era lo sguardo azzurro e fermo di una stella, che fissava dall'alto del cielo la tranquillità del lago. Nel mio modo distratto avevo persino dimenticato di scrivermi il nome e il numero di telefono, nel caso ci fossero stati dei cambiamenti. Questo le conferiva una sorta di anonimato...Avrei oziato, pensai, intorno al lago Maggiore e sarei andato al Dragone, a Orta, molto prima di sabato. Quindi sarei andato a prenderla a Stresa, anche se lei tutto questo ancora non lo sapeva!

mercoledì, ottobre 24, 2007

NAPOLI CHE MUORE (115): La bestia innominabile

"La bestia innominabile" di René Char, tratto da"La bestia di Lascaux" di Maurice Blanchot
ed. Il cavaliere azzurro.


La bestia innominabile
(dedicato da Ueuè a tutte le donne di chi si è fatto un harem di dolore)



La Bestia innominabile chiude il
cammino del gregge gentile,
come un buffo ciclope.

Otto bischerate gli fanno da ornamento,
dividono la sua follia
La bestia rutta devotamente
nell'aria rustica.

I fianchi ripieni e cadenti
sono dolorosi,
vanno a svuotarsi
della loro gravidanza.

Dallo zoccolo alle sue vane difese,
è avvolta di fetore

Così mi appare
nel fregio di Lascaux
madre fantasticamente
travestita,
La Saggezza dagli occhi
pieni di lacrime.

martedì, ottobre 23, 2007

NAPOLI CHE MUORE (114): Bosnia 3 - Il perdono

Ad un uomo che piange davanti a te, ad uno che non si difende più perchè ha sbriciolato il proprio egoismo, puoi dire tutto, sarai sempre accolto e mai giudicato. Ed io in realtà gli ho detto quasi tutto, quasi, perchè di quest'ultima cosa mi vergogno. E poi, con tutti quei morti di mezzo, la mia storia mi sembra stupida. Quando glielo dico lui scuote il capo, no, nessuna storia è stupida, le storie sono la vita, e la vita non è mai stupida. Allora, non senza un terribile sforzo, gliel'ho detto, gli ho parlato di quella brutta maledizione che mi era uscita dai visceri dopo che l'altro li aveva profanati, e con essi tutto il mio dolore che non aveva capito.
Mi ha preso le mani tra le sue e ha detto che dovevo liberarmi di quella colpa, e chiedergli perdono. Ma non lo capirà, gli ho spiegato, penserà che è una scusa per ricontattarlo, è afflitto da un narcisismo patologico. Ma questo, se è vero, non ha importanza, importante è chiederlo.
Mi sta guardando fermo, con la sua dolcezza implacabile.
Abbiamo finito di pranzare da un bel po', c'è ancora la tovaglia con i piatti sporchi sul tavolo.
"Apri il computer e chiedigli perdono."
Lo faccio mentre lui sparecchia, gli mando una mail che non ottiene risposta.
Trascorro il pomeriggio ascoltando le poesie che mi legge da un libretto rosso, poesie di un amore struggente, scritte da un ragazzo nordafricano scomparso nel nulla senza lasciare traccia di sè.
Scomparso come? Forse si è rifugiato presso una comunità sufi, chi scrive così ha certamente trovato Dio. Ma le ha scritte per Dio, queste poesie, o per un essere umano? E che importanza ha, non senti che ha trasceso tutto? C'è un punto in cui i due aspetti dell'amore si incontrano e si uniscono per sempre.
Io so che non è un caso se ha scelto proprio quelle da leggermi.

Di sera non ho appetito. Me ne sto seduta su uno dei divani letto come una zombi. E' stata una giornata piena di emozioni. Mi sembra d'avere dentro una matassa ingarbugliata che non riesco a dipanare. L'altro non ha risposto. Riprova, dice lui. Mi sta chiedendo di sottomettermi, di rinunciare all'orgoglio, persino alla dignità, innanzi a uno che equivocherà come ha sempre fatto.
Ma quella macchia devo togliermela dalla coscienza, lui ha ragione.
La legna crepita nel camino, come fa ad essere così asciutta in un luogo tanto umido?
Poi lancio un urlo, un dolore acuto al piede che è tutto storto in una posizione innaturale, e non riesco a muoverlo. Lui mi sfila lo zoccolo e il calzino, comincia a massaggiarlo, e via via che il crampo si scioglie, il piede riprende la sua posizione normale. Tebaldo s'è avvicinato, forse spaventato dai miei urli, non capisce che ci fa quell'uomo chinato a terra con il mio piede tra le mani. Ci annusa entrambi, è il suo modo per tentare di capire.
Domani ce ne andremo da questa casa nella quale ho vissuto come dentro un sogno.
Anche l'altra mail non ha ottenuto risposta, mi sento bruciare d'umiliazione.
In una di pochi giorni fa gli ho scritto che la gente ha bisogno d'amore e non di paternali. E lui ha risposto con disprezzo: ecco, appunto, elargisci. Ma io so che soltanto l'amore può salvarci da quest'altro inferno in cui tutti stiamo vivendo.
Forse è per questo che attraverso lo spazio che divide i nostri letti, elargisco, sì, voglio elargire come dici tu, ho fatto sempre tutto quello che volevi. Sono appena tre metri che mi sembrano chilometri. Ma quando mi infilo sotto il suo piumino lui mi costringe ad alzarmi, si mette a sedere e mi spinge sui suoi ginocchi. Poi mi abbraccia e mi sussurra che non è possibile, che sono piena dell'altro, che per lui non c'è posto, che amare è un privilegio molto raro, e occorre mantenerlo vivo come una fiammella che va nutrita ogni giorno senza farla divampare per non bruciarsi, l'amore si nutre di se stesso se lo mantieni al giusto regime di calore. E quella voce tiepida che mi soffia nel collo mi sta rimettendo a posto la matassa arruffata che mi portavo dentro. Anche lui può amarmi così, quando si ama così non ha più importanza se uno è vivo o morto, non ha importanza se l'altro non ti appartiene, se non puoi averlo, se pure ti maltratta, devi solo arrenderti totalmente a quest'amore, senza chiedergli nulla, se non di perdurare nel tuo cuore.
Ma lui non mi ha risposto, obietto, persino il perdono mi ha negato. E che importanza ha, tu gliel'hai chiesto, no? Ho perdonato anch'io, me l'ha insegnato mia madre. Ma tu stamane piangevi quando hai chiuso il libro. Piangevo, sì, perchè il perdono non elimina il dolore, ma lo addolcisce.
Allora io dico va bene, e me ne torno sotto al mio piumino. Ho detto va bene tutta la vita. E' il mio destino dire va bene. Uno che si arrende non può che continuare a dirlo, sapendo però perchè lo dice.
Va bene, va bene

lunedì, ottobre 22, 2007

NAPOLI CHE MUORE (113): Bosnia 2 - Srebenica

Il camino stanotte s'era spento e faceva freddo anche sotto i piumini. Tebaldo ha provveduto subito a mettersi in salvo infilandocisi sotto con l'abilità d'un topo. Stamane me lo sono ritrovato di fianco a una gamba riscaldata dal suo piccolo corpo, tutto il resto di me era intirizzito. Il mio ospite ha riacceso il fuoco e mi ha preparato la colazione: caffè, latte di capra, pane grigliato, e la marmellata d'aranci di sua madre. Mi accudisce per quella che sono: una convalescente. Ma sto prendendo coscienza del mio egoismo, ne occorre tanto per accettare l'amore, molto più che a donarlo, perchè lì ti senti buono e generoso, qui invece hai paura di impegnarti, temi che ti venga richiesto qualcosa in cambio che non hai voglia di dare. Conteggi miseramente. E da brava cattolica, sia pure non troppo ortodossa, glielo dico chiaramente.
Lui rimane a guardare nel vuoto per un po' a pensare. Poi mi sussurra con un filo di voce che è un bosniaco musulmano. Si alza, prende un libro:"Apocalisse criminale", dichiara che non saprebbe narrarmelo meglio di lui, Anthony Loyd, e, con quella sua voce morbida che me ne ricorda un'altra, comincia a leggere:
"Srebenica, estate 1996
C'erano luoghi tra gli alberi fitti dove il canto degli uccelli si spegneva, radure ombreggiate dominate da un vuoto acustico. Se ti capitava di trovarti lì in mezzo, dal mondo esterno nessun rumore poteva raggiungerti, se non il fruscio della brezza estiva. Ma era bene non prestare troppa attenzione a quel silenzio, perchè, se restavi da solo, l'immaginazione cominciava a fare brutti scherzi, e a quel punto non era soltanto l'erba che sentivi sussurrare."

Io stavo intanto pensando ad un altro bosco che mi aveva incantata.

"Quei boschi erano disseminati di ossa per chilometri, resti umani che seguivano un sentiero accidentato diretto a oriente attraverso le colline di Srebenica, una pista che si interrompeva e ripartiva in un intreccio confuso dove era stata opposta un'ultima resistenza o erano stati finiti quelli troppo feriti o stanchi per proseguire. L'intera zona era satura dell'odore del massacro. Nelle valli esistevano fosse comuni dove i prigionieri erano stati ammassati, giustiziati e poi coperti sbrigativamente con un sottile strato di terra che, a distanza di un anno, emanava ancora un intenso fetore di putrefazione. Altrove c'erano scheletri solitari nascosti nel sottobosco, individui che avevano provato a farcela da soli, ma che erano stati stanati ed uccisi a colpi di mutilazioni o di armi da fuoco. Persino i cigli delle strade rendevano omaggio agli eventi dell'estate precedente. Lungo un raccordo, uno scheletro con un abito gessato giaceva avviluppato ad un palo di cemento. Tra il groviglio di ossa accasciate al suolo e subito rivendicate da rovi e muschio, si intuiva che le braccia dell'uomo erano state legate al palo con del filo di ferro. Qualunque cosa gli fosse accaduta, è improbabile che fosse stata rapida o indolore.
Se fosse esistito un elenco di tutti i modi in cui è possibile morire, allora i morti di Srebenica sarebbero rientrati nella maggior parte delle opzioni. Alcuni, presi da un panico disperato, si erano dati la morte con le proprie mani; altri erano morti nel corso di confusi scontri a fuoco con i propri commilitoni o col proprio nemico. I più, però, si erano arresi, e dopo un'ultima, lunga camminata nel sole estivo, erano andati a comporre file con i propri compagni. Il ritmico lavorio di una mitragliatrice alle loro spalle era stato l'ultimo rumore che avevano sentito, tranne forse il sussurro di qualche parola d'amore o di pentimento".
Ha chiuso il libro, perchè gli si è rotta la bella voce e adesso tra gemiti e singhiozzi, narra che anche suo padre e suo fratello sono morti in quell'inferno.
Tebaldo gli è saltato sulle gambe e gli lecca le mani bagnate di lacrime. Lui lo accarezza e mi guarda coi suoi occhi blu gonfi di pianto. Poi sorride mestamente e mi invita a stare tranquilla.
Un uomo che piange non può essere sexy, mormora.

domenica, ottobre 21, 2007

NAPOLI CHE MUORE (112):Bosnia 1- Acqua che scorre

Mi trovo in un posto che, per quanto ne sappia, è unico al mondo, o almeno così a me pare.

Si tratta di uno chalet costruito su un grande scoglio piatto nel bel mezzo d'un fiume. L'acqua vi scorre tutt'intorno e per raggiungerlo occorre attraversare una specie di passerella. Lo chalet è arredato in modo essenziale, che per molti significa povero, e per me elegante e comodo. Non vi manca nulla, abbiamo cibo per tre giorni, il mio ospite ed io, in parte già cucinato. E poi ci sono le trote. Non l'avevo mai creduto che si potessero pescare di notte con le mani, e invece è vero, ne abbiamo prese tre, e le abbiamo cotte sulla griglia in muratura costruita a fianco dello chalet.

Non c'è televisione, meno male, nè giornali, ma abbiamouna connessione internet senza fili, e perciò posso scrivere. A parte questo, siamo molto lontani dal mondo. Abbiamo buona musica, il camino acceso, perchè s'è alzato il vento che proviene dagli urali, e bei piumini caldi sotto i quali accucciarsi. Da queste parti la casa si chiama proprio cuccia, come noi chiamiamo quelle dei cani.

Questa cuccia è quanto di più confortevole abbia sperimentato nella vita.

In più c'è un'amabile conversazione e la disponibilità ad affrontare gli argomenti che costituiscono la mia fissa: Dio e l'amore tra gli esseri umani. Una voce calda che accompagna le mie elucubrazioni, uno sguardo pieno di pazienza, due mani molto belle che ogni tanto sfogliano un libro che potrebbe contenere risposte. Un'assenza totale di vanità e di malizia. Mi sembra di navigare su questo scoglio lungo il fiume. Pensavo che il rumore dell'acqua mi disturbasse, invece m'ha cullata per tutta la notte. Sotto quel piumino mi sono ritrovata bambina, ma non c'era nessuno ad accusarmi, a farmi predicozzi, a farmi temere di perdere la felicità.

Tutto mi veniva dato solo per il piacere di donarmelo.

E stamane, incredibile, m'ha svegliata il suono della mia voce che cantava: "Una preghiera picciina, coome son io, ascolta o Diio." Avevo tre anni quando le suore dell'asilo mi issavano su una sedia e me la facevano cantare. Allora non soffrivo di vertigini come adesso. Sono qui per farmele passare, le vertigini, ed affidarle all'acqua che corre per diventare mare.

NAPOLI CHE MUORE (111): Dell'amore negato

Venere, te lo chiesi
in una sera tersa
il sole al discendente
e tu brillavi in cielo
Chiesi che dal tuo ventre
tenero e odoroso
umido di rugiada
uscisse un dio amoroso.

Che nello sguardo avesse
la saetta di Giove
e Nettuno gli desse
dolce voce di flauto
e Marte gli donasse
virilità e coraggio
E di bellezza Apollo
splendesse sul suo viso
e di Mercurio alata
avesse intelligenza.
Ti chiesi quella sera
tale prodigio arcano
e tu che cosa hai fatto:

m'hai mandato Gaetano?

Giove gli ha dato smanie
ma tutte inconcludenti
e Nettuno una voce
più degna di postribolo
Marte viltà e impotenza
coeundi a saliscendi
e Apollo?
Apollo gli donò
soltanto porcellana
infatti è un vero cesso
'sto figlio di puttana
Quanto a Mercurio poi
non s'è sforzato il dio
Gaetano è pure fesso:
e questo è l'uomo mio?

Che brutto scherzo, Venere
mi faceste lassù:
non lo voglio Gaetano
sciroppatelo tu!

sabato, ottobre 20, 2007

NAPOLI CHE MUORE (110): Per Filippo Maria

Rise Natura un giorno
compiaciuta
quando ti partorì
ma lasciò nel tuo sguardo
la cifra azzurra dell'incognita
cielo infinito d'astri
che si donano
sino ad estinguersi
Splende l'amore
che brillò allo zenit
ed io al nadir ti inseguo
e prego il Tempo
che mi lasci passare.

(questa poesia è stata scritta per Filippo Maria, un bambino che è stato chiamato in Cielo, ma è dedicata, senza pietà, ad un uomo malvagio che ha osato profanare la storia di questa morte e il dolore che l'ha accompagnata).

venerdì, ottobre 19, 2007

NAPOLI CHE MUORE (109): La direzione

"Buongiorno, doberdan. No, non si aggrappi alla cinghia della sua tracolla, non voglio derubarla. Non sono uno scippatore. Qui non ne abbiamo. Non ancora, almeno."

"Scusi, ma lei che vuole?"

"Voglio sapere soltanto dove va."

"E cosa gliene importa?"

"Se glielo chiedo vuol dire che mi importa."

"Non la capisco."

"Non importa capire. Basta dire dove va."

"E perchè mai glielo dovrei dire? Io non la conosco."

"Le piace camminare?"

"Nemmeno un po'."

"Nemmeno in compagnia?"

"Ancora peggio."

"Ma non l'ha visto il sole? Oggi è magnifico."

"E allora?"

"Ci si muove bene nel sole."

"E allora vada lei. Lei dove va?"

"Io vado qui."

"Qui dove?"

"Qui, su questo muretto dove sta seduta."

"Beh, allora glielo dico, io non vado da nessuna parte."

"Anch'io non ho una direzione."

"Guardi che non ho voglia di parlare."

"D'accordo, però le scarpe."

"Cos'hanno adesso le mie scarpe?"

"Sono piuttosto estive. Zoccoli di silicone."

"Io li porto anche d'inverno, coi calzerotti di lana, sono comodi."

"Molto interessante."

"Interessante cosa?"

"Quello che ha detto. Vuole una sigaretta? No, è inutile frugare nella borsa, tanto le ha dimenticate a casa."

"Ma lei che ne sa?"

"Controlli allora. Vede che ho ragione?"

"Va bene allora me la prendo. Grazie."

"Cosa posso fare per dissipare tutta questa nebbia?"

"Ma se c'è il sole."

"Il sole è fuori, dentro c'è la nebbia. Adesso le canto una canzone."

"Oddio, no, smetta, per favore, lei è stonatissimo, la sua voce è stridente e sbaglia tutte le parole."

"Però sta ridendo."

"E per forza. Lei è proprio assurdo a voler cantare."

"Come i suoi zoccoli d'inverno."

"Beh, forse sì."

"Lo vede che abbiamo trovato una direzione?"

NAPOLI CHE MUORE (108): Numeri.

Stacchiamo la spina. Lasciamo la letteratura, e prendiamoci una pausa di quel gelo che solo i numeri sanno darci, tanto per rinfrescarci un po'.
Parliamo dei morti ammazzati sulle strade da gente per lo più drogata e imbottita di alcoolici.
Ne abbiamo già parlato a suo tempo, ma adesso prendiamo in esame soltanto i numeri. Non per la loro valenza numerica in sè, ma per quello che suggeriscono quando diventano tabelle di costi di morti e di feriti. Somigliano un po' a quelle delle assicurazioni sulla vita, ma lì ci sono ancora almeno due vivi: uno che firma grattandosi le palle, e un altro che sospira soddisfatto e ripone il contratto nella cartella.
Qui di vivi ci sono soltanto i feriti, 313.727 per il 2005, secondo gli ultimi Aci-Istat, con un costo individuale che può arrivare sino a 40.000 euro a cranio, a seconda delle gravità delle lesioni.
E i morti? Ah, quelli? Sono 5.426. E non parliamo di quanto ci vengano a costare!
Pensate che il costo sociale medio per ciascuno è pari a 1.281.778 euro, tenuto conto della mancata produzione, dei costi sanitari e pubblici, del risarcimento del danno morale agli eredi.
Morale della morale?: i costi legati all'infortunistica stradale sono stimati in 15 miliardi di euro.
Inseriamo questi numeri in una tabella:

Numeri di morti 5.426=
Numeri di feriti 313.727=
Numeri di incidenti
stradali in un anno 225.078=
Numeri di costo medio
in euro per ogni morto 1.281.778=
Numeri di costo medio
in euro per ogni ferito 40.000=
Costi sociali legati
all'infortunistica
stradale 15.000.000=

A questo punto tutte queste cifre sono i risultati di ricerche statistiche, possono interessare chi si occupa di bilanci, ma del dolore di chi ha sofferto chi se ne occupa? Ci pensiamo al dolore di tutti questi morti e feriti, familiari ed affini, quando li scriviamo o li leggiamo questi numeri?
Ci viene mai di fare silenzio per un attimo da dedicare a chi ha tanto sofferto per l'imbecillità altrui? O non ci pensiamo perchè i numeri sono i simboli dei costi economici e non esistono quelli del dolore?

E adesso riattacchiamo la spina, fanculo ai numeri, lasciamo fluire musica, ritmo e parole, scaldiamoci al tepore della poesia, abbracciati a tutti i morti e feriti danziamo tutti insieme.

giovedì, ottobre 18, 2007

NAPOLI CHE MUORE (107): Gli uccelli

dal "Manoscritto Rossetti" di William Blake. Traduzione di Giuseppe Ungaretti.


Lui
Dove risiedi tu, dentro quale boschetto,
Bellezza, dimmelo, dimmelo Amore;
Dove l'incantevole nido edifichi
O vanto d'ogni campo!

Lei
Un albero isolato c'è laggiù,
ove per te vivo e m'affliggo;
Beve il mattino la mia muta lacrima,
ed i serali venti recano il mio dolore.

Lui
O tu armonia dell'estate,
Per te ho vissuto, ho patito per te;
Ogni giorno m'affliggo a misurare il bosco,
Hanno le notti udito le mie pene gridare,

Lei
Davvero tu mi brami?
Sono tanto cara per te?
La pena ora è al suo termine,
O mio amore, o mio amico!

Lui
Vieni, su ali di gioia voleremo
Verso l'appesa alta mia culla;
Vieni, e fatti un tranquillo asilo
Tra verdi foglie, tra odorosi fiori.

mercoledì, ottobre 17, 2007

NAPOLI CHE MUORE (106):" L'artista" di Oscar Wilde

Una sera la sua anima fu presa dal desiderio di creare un'immagine del Piacere che perdura un istante. Ed egli uscì per il mondo a cercare bronzo. Poichè solo in bronzo poteva egli pensare.
Ma tutto il bronzo del mondo intero era scomparso, nè in alcun luogo del mondo intero era possibile trovarlo, fuorchè nell'immagine del Dolore che perdura eterno.
Quest'immagine l'aveva creata lui stesso con le sue stesse mani, e l'aveva posta sulla tomba dell'unica donna che nella vita avesse amato, affinchè fosse segno dell'amore dell'uomo, che non perisce, e simbolo del dolore dell'uomo, che perdura in eterno.
E in tutto il mondo non c'era altro bronzo, se non il bronzo di questa statua.
Ed egli prese l'immagine che aveva creato, e la pose in una grande fornace, e la diede al fuoco.
Così dal bronzo dell'immagine del Dolore che perdura eterno trasse quella del Piacere che perdura un istante.


martedì, ottobre 16, 2007

NAPOLI CHE MUORE (105): Quest'amore così inflazionato

Ho preso il titolo di questo post parafrasando i bellissimi versi che Jaques Prevèrt ha dedicato alla più conosciuta delle sue poesie d'amore.
Non è questo che vorrei sottolineare tuttavia quest'oggi, ma ciò che veramente è l'anima d'un poeta, al di là degli osanna e delle censure, atteggiamenti sempre poco oggettivi innanzi a questo mistero.
Prevert ha scritto, sì, anche una poesia intitolata "Il culo", territorio geografico del corpo umano, ambito, non solo per fini esclusivamente estetici, anche da molti cattolici osservanti, oltre che da molti atei, ma si è espresso anche con questa che segue, costituita da una preghiera-invocazione. che oggi vi propongo, a dimostrazione che solo i fessi si assolutizzano, ma i poeti no. Diversamente non sarebbero più tali.
.
.
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi che ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciarci diventare gelidi
Sempre più lontano
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Oltre i margini d'un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.

J.P.

(ed anche questa è una poesia d'amore, non disgiunta, ma unita, per non frammentare l'umano, per non separarlo diabolicamente da Dio, a quelle che l'hanno preceduta su questo blog)

lunedì, ottobre 15, 2007

NAPOLI CHE MUORE (104): Poesie

Poeti di strada
.
.da:"Esa tregua, el amor" di Eduardo Mazo
.
.Se ti perdessi ora
se ora mi lasciassi nell'aria
la nebbia del tuo nome
per cercare così nella penombra
il tuo corpo che tanto ho circondato
se ora
tanto ardente innanzi a me
ora
se adesso
che diffido ancora la goccia del tuo bacio
sul labbro
e la valle del tuo primo brivido
se ti perdessi ora
prematuramente ora
notturnamente ora
se ora nel muro che t'ha sfiorata
nella brama che t'ha sconfitta
nel vento sulla pelle che t'ha violata
ti perdessi
sognerei che non t'ho avuta mai
che non sei mai esistita
che il tuo sorriso mai
di chimera in maglietta
che mai tu, che mai
che mai ci furono i tuoi capelli
di spuma nello specchio
che mai le tue parole
come colombe in volo
mai.
.
.Se ti perdessi ora
ora, proprio ora
comincerei a riconquistarti.

sabato, ottobre 13, 2007

NAPOLI CHE MUORE (103): Poesie.

Poeti di strada

da:"Pour un homme" di Viola d'Amore
.
.
Lasciati tra le mie mani
e colmale di te
abbandonati
fidati
e affidati
Voglio sentire
il tuo fiore che si gonfia
e si espande tra le mie dita
Le muoverò prima lievi
per rassicurarti
ti darò tutto il tempo che vuoi
e sarà dolce come una corrente
che ti ricopre senza farti male
senza darti tregua
Poi chinerò la testa
sul fiore divenuto frutto
il frutto del mio signore
e con le labbra lo torturerò
una lunga tortura senza scampo
liquida
eseguirò i tuoi ordini
rispettando i tempi
che mi darai
dovrai dirmi che mai
mai come adesso
Spingerai col palmo la mia testa
la farai danzare al ritmo che ti piace
tirerai afferrato ai miei capelli
sino a che tutto sia una cosa sola
nè tu nè io
e solo quella voce che mi dica
ancora, ancora, adesso
no, devi fermarti
non voglio che finisca
prima che esploda
una pioggia di stelle.

NAPOLI CHE MUORE (102): La più bella storia del mondo.

da:"Il libro dei maestri del mondo" di Robert Charroux.

...Il Bodhisattva percorreva le campagne cercando di acquisire maggiore scienza e sforzandosi di imparare cose che ancora non sapeva...D'improvviso scorse una colomba che per la stanchezza riusciva appena a mantenersi in volo e sembrava infatti dovesse precipitare da un istante all'altro. L'uccello con le ultime forze che gli restavano riuscì a giungere fino al punto dove il Saggio era rimasto immobile ad osservarla, e andò a posarglisi ai piedi.
."Ti supplico Bodhisattva"gemette la povera bestiola"salvami! E' da questa mattina che sono inseguita e perseguitata da un avvoltoio ed ora sono sfinita. L'unica mia speranza è riposta nel tuo aiuto. Ecco, ecco l'avvoltoio che arriva, salvami ti prego!"
.Il Saggio, levato lo sguardo al cielo, vide infatti avvicinarsi un uccellaccio nero, il quale a sua volta, a causa della stanchezza, si reggeva in aria con tanta difficoltà, da destare quasi compassione.
.Il Bodhisattva, raccolta da terra la colomba, se la ripose in seno, sotto la tunica, mentre con dolcezza paterna la rassicurava mormorandole:"La pace sia nel tuo cuore, mia colombella! Sono il Bhodhisattva e ti offro ospitalità e riparo sul mio seno. Non hai più nulla da temere." Ma pochi istanti dopo, con le piume arruffate e visibilmente spossato, l'avvoltoio, posatosi vicino al saggio, prese a dire ansimando:"Per tutti gli dei! Dopo un'intera mattina di caccia accanita non ne posso proprio più. Guarda che ti ho visto mentre nascondevi la colomba. Consegnamela subito prima ch'io venga meno per la stanchezza." "Puoi esser certo che non te la darò mai"rispose il Saggio"Infatti le ho garantito protezione. Se ora violassi le leggi dell'ospitalità mi macchierei di una gravissima colpa." "Quella colomba non è tua!" replicò l'avvoltoio"Appartiene a me. Quando l'hai raccolta era all'estremo delle forze e, se tu vuoi rispettare la giustizia e la verità, devi riconoscere che essa stava per diventare mia facile preda. Restituiscimi quindi ciò che mi spetta di diritto!"
."Impossibile!"
."Rifletti, Bodhisattva, io sono nato avvoltoio per volontà degli dei, i quali, nel conferirmi tale natura, mi hanno anche imposto il sistema per procurarmi il nutrimento che mi è necessario. Ho dato la caccia a quella colomba e sono riuscito praticamente a catturarla. Essa è la ricompensa per il mio lavoro di avvoltoio e tu, quindi, sei tenuto a consegnarmela."
."Impossibile,"riaffermò il Saggio, ma nella sua voce affiorava una sfumatura di indecisione e di dubbio "vorrei soddisfare la tua pretesa di avvoltoio, credimi, ma non al prezzo che mi chiedi di pagare. Torna a caccia, è la cosa migliore che tu possa fare."
."Tornare a caccia? Ma la tua è una burla davvero crudele. Non vedi che non sono neppure più capace di volare? Fa che una volpe mi trovi in questo stato di sfinitezza e sarò spacciato. Vuoi dunque sottopormi all'alternativa di morire di fame o di essere divorato da un nemico. Ebbene, così sia. Per me sarà la morte, ma la responsabilità di quest'infamia graverà unicamente sulla tua coscienza!"
.Il cuore del saggio era tormentato dall'ansia. Pietà, amore e incertezza lo straziavano: sacrificare l'innocente colomba era impossibile, ed altrettanto per l'innocente avvoltoio. Restava un'unica soluzione e il Bodhisattva nel trovarla si sentì illuminato.
"Avvoltoio"disse"tu hai perfettamente ragione, perchè infatti io non ho il diritto di privarti della naturale ricompensa. Ti offro pertanto le mie stesse carni, in sostituzione della colomba che ti spetterebbe di divorare."...

Non c'è dubbio che questa mitica narrazione costituisca una profonda, totale ed edificante lezione d'amore: una vita vale solo ed unicamente un'altra vita. L'amore conta solo se è amore totale ed onnicomprensivo ed ha come oggetto la felicità dell'altro e l'esaudimento di tutti i suoi desideri e delle sue necessità.

giovedì, ottobre 11, 2007

NAPOLI CHE MUORE (101): Fratello sole, sorella luna.

.A F O R I S M I

di Francesco Ribolla e Maria Rosaria Ribolla.
.
.F: Troppo timido per dichiararle il suo amore le dedicò un articolo.
.
.M.R:"Lei crede in Dio?" "Dipende dalle circostanze."
.
.F:La coerenza d'essere incoerenti, la ricerca d'un razionale che non c'è, la certezza che nessun valore è definitivo, la contraddizione come scelta di vita.
.In alternativa:il silenzio.
.
.M.R:"I suoi cugini sono decessi." "Effettivamente sono sempre stati piuttosto bruttini."
.
.F: Che strano autore fu colui che definì il vivere un mestiere e poi scelse di morire...ma è pur vero che lavorare stanca.
.
.M.R:"Che differenza c'è tra un diritto e un dovere?" "Non saprei." "Ormai neanch'io."
.
.F: L'ironia non serve contro la volgarità, è una lotta impari, si è destinati a soccombere. Chi è ancora capace d'ironia ha per vocazione il suicidio.
.
.M.R: A letto:"Amore ancora." "Ancoraaa?" "Ancora non mi hai fatta uscire dal virtuale."





NAPOLI CHE MUORE: (100) Ravel ritrovato.

Ora doveva spiegarsi meglio.
.Doveva pur esserci da qualche parte uno straccio di colpa al quale aggrapparsi per trarne emozioni.
.Nonostante avesse ormai imparato a guardare oltre le leggi del tempo e della necessità -che ormai riteneva persino ridicole, doveva pur esserci rimasto un angolo buio, legato al concetto di passato, nel quale la colpa rimanesse organizzata.
.Invano, lui glielo aveva stupidamente piazzato di continuo sotto il naso, il tempo, sulla scena.
.E se l'aveva accettato, nel corso della recita, era stato soltanto per riequilibrare le volgarità delle proprie obiezioni razionali. Innanzi a tutta quella splendida follia, lei si era sentita decisamente peggiore.
.E adesso che il sipario si era chiuso, si stava chiedendo perchè l'Autore non avesse trovato una fine meno imbecille. Era davvero un insulto all'intelligenza, banalizzare in tal modo tutta l'intrigante problematica di quel dramma. Lei aveva speso tutta la vita a difendere il sacro e il divino dalla mediocrità.. E adesso non si poteva nemmeno invocare l'azione risanatrice del perdono. Il perdono è ancora terrestre e prevede un'offesa. Lei si credeva già oltre:
.Chi perdona chi?
.C'era però ancora quella volgare incoerenza serva del tempo, e anche la vanità, così invariabilmente stupida. E malgrado tutto questo, sia pure attraverso mezzi tanto miserabili, le era arrivata la vertigine.
.Era inevitabile, e adesso lo sapeva. Attimo dopo attimo, quella continua spoliazione l'aveva preparata a quanto di più emozionante possa vivere l'essere umano: lo spettacolo di Dio.
Il grado dell'esperienza, all'interno della quale si era formata la sua coscienza, era tale che non poteva darsi altro che quella rappresentazione.
.Incontrare Dio, farGli la guerra per non esserne sedotta, spadroneggiare nella Sua misericordia, per poi caderGli alfine ai piedi arresa, vinta da quell'amore incondizionato che si lascia fare tutto, pur di annientare l'orgoglio della Sua creatura.
.Così a lei, sulla scena, era toccata la parte di aguzzino (piuttosto stupido, a vero dire, e molto arrogante nella sua prosopopea, con quella ridicola lancia da infliggergli nel fianco), e a lui quella di un Cristo un po'schizzato, attorniato dai suoi bravi comprimari, che si fa mettere in croce per seguire sino alla fine la sua missione d'amore. Per poi risorgere, nel terzo atto, più forte di prima e invulnerabile, ma ancora troppo umano e non divinizzato.
.Però adesso basta. sottomettersi a qualsiasi stravaganza può anche andar bene, diversamente sei destinato a diventare concime nell'inferno della dimenticanza, alla faccia dell'amore incondizionato del primo atto.
.Mentre si avviava vide tra il pubblico anche gli altri commedianti che uscivano, e c'era lui, ovviamente, quel Cristo ridotto, senza palcoscenico, ad un povero cristo.
.Lo inseguì tra la folla, gli afferrò un lembo del pullover costringendolo a voltarsi spaventato. Poi però subito sorrise vanitoso mentre lei bruciava di delusione. Tuttavia lo supplicò:"Spero che lei si ricordi di me. Sono quella che ha ricoperto il ruolo del suo aguzzino, certo indossavo la maschera, ma non era una parte da niente, la mia."
Lui ascoltava con gentilezza perchè tutta quell'ansia lo stuzzicava. Si voltò a guardare i compagni di lavoro per accertarsi che avessero udito. E infatti tutti sorridevano divertiti.
Poi lui, il primo attore che aveva un po' di fretta disse:
."Se vuole proprio saperlo per me tutto il primo atto è stato solo una gran cagata. E non dimentichiamo che quanto accade sulla scena è solo un riflesso della coscienza dell'Autore."
."D'accordo, ma questo Autore non poteva concludere il suo lavoro in un modo meno banale?"
."Mia cara figliola, disse l'attore che ogni tanto si compiaceva di fare il patriarca, anche lei non è altro che un riflesso.Deve svegliarsi da questo sogno con il quale si identifica, deve comprendere che lo spettacolo è finito e che non c'è più nulla di reale."
.Lei strepitò in preda al panico:
."Ma tutto quell'amore incondizionato e quella grande accoglienza?"
."Seduzione, mia cara, null'altro che seduzione. Supporti per sognare."
."Sì, ma l'amore cosmico e la misericordia?"
."Beh, anche quello è un bel sogno, non trova?" disse l'attore guardando l'orologio "Ora però non colpevolizzi la mia bravura d'attore. Sono lieto d'averla fatta sognare. Ma adesso vada oltre, benedetta figliola!" gridò spazientito.
."Ma non c'è nulla oltre l'amore!" urlò lei disperata sentendo traballare i supporti.
."Ecco, brava, l'ha detto. Appunto. E' lì che stiamo finendo tutti.", e mormorò un tenue frettoloso fanculo:"e adesso mi scusi perchè avrei da fare. Nina, Ninaaa." gridò "sto arrivando. Aspettatemi. Sa, è mia moglie. A quest'ora ci viene una fame! Occorre nutrirlo, il corpo." Poi, forse impietosito dallo spettacolo di tutta quella disperazione e quelle lacrime, disse:
."A meno che non voglia venire con noi a mangiarsi una pizza."
."Una pizza?"
."Sì, una pizza. La fanno molto buona qui dietro l'angolo."
"Io me ne strafrego delle sue pizze!".Allora, rotte le dighe della tolleranza, l'attore si avviò verso i compagni.
."Che rompiballe questi gnostici eretici!" lo udì inveire mentre passava un braccio intorno alle spalle della moglie "il guaio di questo lavoro è che si innamorano tutti di me. Porta pazienza, cherie."

Lei era rimasta immobile innanzi alle uscite. La mente annichilita, il cuore stanco.
Così, spente le luci, non ci fu più teatro, nè Autore, nè attori e spettatori, nè emozioni. E nemmeno pizze, ovviamente
.E nemmeno la locandina che annunciava lo spettacolo dell'indomani:"Ravel ritrovato" col sottotitolo: emozioni in musica.

mercoledì, ottobre 10, 2007

NAPOLI CHE MUORE (99): Amorose carezze

da:"La vita e le opinioni di TRISTRAM SHANDY gentiluomo" di Laurence Sterne, ed Einaudi

Volume ottavo-capitolo ventiduesimo

"Ero scampato per tutto quel tempo dall'innamorarmi -continuò il caporale- e sarei scampato "sino alla fine del capitolo, se non fosse stato preordinato altrimenti: non si sfugge al proprio fato.
"Era una domenica, di pomeriggio, come ho già detto a Vostro Onore. Il vecchio e sua moglie erano usciti. Tutto era silenzio e pace nella casa come a mezzanotte. Non c'era nè una papera nè un paperozzo a razzolare sull'aia...quando la bella beghina venne a visitarmi. La mia ferita era ben avviata alla guarigione: l'infiammazione era sparita da qualche tempo, ma era succeduta una prurigine sotto e sopra il ginocchio, ma così insopportabile che io non avevo potuto chiudere occhio tutta la notte.
-Lasciate che lo guardi, ella disse inginocchiandosi in terra parallelamente al mio ginocchio e posando la mano sulla parte sottostante. -Ha solo bisogno d'essere un po' strofinata, disse la beghina. Così, coprendolo con le coltri, incominciò a fregare con l'indice della mano destra, spostandolo avanti e indietro lungo l'orlo della benda di flanella che teneva a posto la medicazione. Dopo cinque o sei minuti mi sentii sfiorare dalla punta del medio; poco dopo le due dita si allinearono, ed ella continuò a fregare tutt'attorno per un bel po'. Fu allora che mi ficcai in testa che avrei finito con l'innamorarmi. Arrossivo al vedere com'era bianca la sua mano. Non ne vedrò un'altra, piaccia a Vostro Onore, così bianca finchè vivrò".
-Non in quella parte del mondo,- disse lo zio Tobia.
.Il caporale era sincero in questa sua disperazione, pure non potè far a meno di sorridere. Poi riprese:
"La giovane beghina, vedendo che mi era di gran giovamento, dopo aver fregato per qualche tempo con due dita, si mise a farlo con tre, poi a poco a poco abbassò il quarto e finì con l'impiegare tutta la mano. Non parlerò mai più di mani, piaccia a Vostro Onore, ma quella era più morbida del raso".
-Prego, Trim, lodala pure quanto vuoi, disse lo zio Tobia, ti ascolterò con tanto maggior piacere.
Il caporale ringraziò il suo padrone con la massima sincerità, ma non sapendo che altro dire della mano della beghina, se non ripetere quel che aveva già detto, passò a parlare degli effetti che essa produsse.
"La bella beghina, disse il caporale, continuò a fregare con tutta la mano al di sotto del ginocchio finchè io le espressi il timore che il suo zelo la stancasse.
-Lo farei mille volte di più, ella rispose, per amore di Cristo. E nel dir questo, portò la mano sotto la benda e la spinse al di sopra del ginocchio, di cui io mi ero anche lamentato, e strofinò anche lì. Mi accorsi allora che cominciavo a innamorarmi. Ella fregava e fregava, ed io sentivo l'amore sprigionarsi dalla sua mano e diffondersi per tutto il mio corpo. Più ella fregava, più lunghi divenivano i tratti della sua mano, più il fuoco si accendeva nelle vene; finchè, dopo due o tre tratti più lunghi degli altri, la mia passione divampò, ed io le afferrai la mano..."
-E te la premesti contro la bocca, Trim, disse mio zio Tobia, e facesti un discorso.
.Se l'amore del caporale terminasse o no precisamente nella maniera descritta dallo zio Tobia, non ha importanza. Basti dire che esso conteneva l'essenza di tutti i romanzi d'amore che siano mai stati scritti dalla creazione del mondo in poi.

lunedì, ottobre 08, 2007

NAPOLI CHE MUORE (98): La curva dell'angolo

da:"La curva dell'angolo" (romanzo inedito di ignoto)
.
. P R O L O G O
.
."Il sole in dodicesima sta a significare che avete tutti i riflettori della vostra anima accesi in permanenza, che in voi non c'è più nemmeno un angolo buio, che siete dentro esattamente come siete fuori, e che se non trovate la forza di andarvi a rinchiudere da qualche parte, cedendo agli inviti che vi verranno fatti in questo senso, per dedicarvi allo studio della bizzarra condizione in cui vi ha posto il destino, rendendovi tanto diverso dai vostri simili, voi sarete sempre alla mercè di chiunque, perchè con tutta quella dannata luce dentro, siete una specie di specchio nel quale gli altri si riflettono. E ne consegue che, non sopportando ciò che vedono, finiscano ineluttabilmente col trovarvi scomodi, la qual cosa, non essendo amena, può indurvi in quel tipo di tristezza che sempre sopraggiunge quando ci si sente rifiutati. E solo una buona dose di umorismo -ma ce ne vuole veramente tanto, e l'amore per i vostri simili -ammesso però che siate riusciti ad accettare l'iniquità culturale che contrabbanda per "bisogno d'affetto" quella legge di sopravvivenza che costringe tutti a fagocitare tutti, vale a dire soltanto se questa luce inopportuna è riuscita a rendervi santi, (più spesso a vero dire si finisce in manicomio) vi sarà possibile instaurare un rapporto con gli uomini, sia pure stravagante, perchè si tratterà comunque di nascondersi, avviluppandosi in un plumbeo mantello di compiacenza, per far sì che i loro cavilli sussistano indisturbati, sorretti dai pilastri delle leggi e del buonsenso, e ben protetti da quella risonanza che da voi si diffonde, così pericolosa per la loro quiete, così turbolenta quando si insinua negli umani rapporti, e tanto esplosiva se dovesse capitarvi di incontrare qualcuno simile a voi, caricato di altrettanta luce sconveniente, e capace quindi di fronteggiarvi a buon diritto: avvenimento, quest'ultimo, che quando si verifica vi annichilisce in toto, vi impacchetta, e vi spedisce direttamente altrove, in un luogo ineffabile che in molti credono essere la quintessenza di Dio, altri invece la sede di Satana, ed altri ancora la dimora della pazzia, e che noi, più modestamente, chiameremo la fonte della creatività, lì dove vivono in eterno simboli e miti, un sito posto oltre il muro del pensiero logico che, una volta raggiunto, può fare di voi un essere felice o, a seconda dei punti di vista, un individuo definitivamente fritto."
.Napoli, ottobre 2oo2.

NAPOLI CHE MUORE (97):Rapporti d'amore.

da:"Il libro dell'Amico e dell'Amato" di Raimondo Lullo, ed. Città nuova.
.
.
.223. Conflitto e discordia nacquero tra l'Amico e l'amore, giacchè l'Amico era stanco delle tribolazioni che sopportava per amore. E la domanda era se ciò fosse dovuto a imperfezione dell'amore o dell'Amico.
.Vennero dunque a giudizio dall'Amato, che punì l'Amico con aneliti e pene, e lo premiò aumentando in lui l'amore.
.
.224. La domanda fu se l'amore era più vicino alla premura o alla pazienza. E l'Amico rispose che l'amore nasce nel pensiero premuroso, e cresce nella pazienza.
.
,226. Molto in alto voleva salire la volontà dell'Amico per amare molto il suo Amato, e ordinò all'intelletto di salire quanto più potesse, e l'intelletto così ordinò alla memoria. E tutti e tre salirono a contemplare la gloria dell'Amato.
.
.242. -Dimmi, folle Amico, da dove ti viene ciò che ti è necessario?
.Rispose:
.-Da pensieri, desideri, adorazione, tribolazione e perseveranza.
.-E da dove ti vengono tutte queste cose?
.Rispose:
.-Dall'amore.
.-E da dove ti viene l'amore?
.-Dal mio Amato.
.-E da dove ti viene l'Amato?
.-Da se stesso.
.
.260.Davanti all'amore sta l'Amato, e dietro l'Amato l'Amico. E dunque l'Amico non può giungere all'amore. fin quando non ha fatto passare i suoi pensieri e desideri attraverso l'Amato.

domenica, ottobre 07, 2007

NAPOLI CHE MUORE (96) Lo scrittore.

da "L'infinito viaggiare" di Claudio Magris, ed.Mondadori.
.
."...Lo scrittore non può incarnare nulla, neanche una tendenza o un mondo poetico, che sono autentici solo finchè egli li esprime così come li vive, senza preoccuparsi di cosa succederà loro, di quale effetto essi avranno nella realtà. Quando egli, anche per spirito di alta responsabilità morale, se ne occupa e se ne preoccupa, finisce la sua avventura poetica e comincia la sua gestione di quest'ultima, che deve tener conto di tante cose e conseguenze estranee ad essa.
.
...Oggi lo scrittore non corre il pericolo di rappresentare un'ideologia o una poetica di regime,(...),
bensì piuttosto quello, altrettanto grave, di divenire lo speaker a tempo pieno dell'istituzione letteraria che riproduce tautologicamente se stessa, il partecipante alla tavola rotonda permanente sulla società e sulla vita, l'esperto del Reale. La retorica, ossia l'organizzazione e l'ingranaggio del sapere, esige questi utili uffici, ma la poesia -per usare i termini di Michelstaedter- ha a che fare con la persuasione ovvero con la ricerca, riuscita o fallita, di possedere la propria vita e di guardarla in faccia senza preoccupazioni diplomatiche.
.Biagio Marin racconta che una volta, a Grado, una bambina, quando lui le aveva detto di essere un poeta, gli aveva risposto derisoria che "i poeti sono morti". Forse aveva ragione perchè, finchè vive, anche il poeta, volente o no, è iscritto all'albo professionale della realtà, che costringe a cautele, doveri, misure, compromessi, rispetti umani, arrotondamenti e sfumature.
.Solo quando si viene radiati da quell'albo la poesia risplende libera, disinteressata, regalmente noncurante di tutto il resto."

(appunti per il mio romanzo vero)

sabato, ottobre 06, 2007

NAPOLI CHE MUORE (95):Promesso, amore mio.

"Tu non ti lavi." "Come hai detto? Cos'è questa sciocchezza?" "Sì, non ti lavi, io lo so. E' inutile che ridi come una stupida." "Se dici delle cose buffe è normale che mi venga da ridere." "Io ho detto una cosa vera, non buffa. Ti puzzano anche i piedi dentro la scarpe da ginnastica." "E quando mi avresti vista con le scarpe da ginnastica, chè non ne ho nemmeno un paio e le detesto?" "Allora ti puzzano dentro gli stivali." "Va bene, allora adesso mi tolgo gli stivali. Certo che a cavalcare per due ore e mezza un po' di sudore arriva. Ma i miei piedi non puzzano. E adesso se sei davvero una femmina, li devi annusare. Puzzano?" "No, non puzzano." " Guarda che io mi lavo anche troppo. Sono un po' fissata. Ma è tutto il contrario di quello che hai detto."
"Lo so." "E allora perchè dici fesserie? Solo quando ci si ama ci si lava di meno. Perchè dell'altro ami tutto, anche lo sporco, e vorresti mangiartelo." "Che schifo." "Eh, adesso dici così. Ma quando sarai grande lo capirai. Tu, piuttosto, perchè ce l'hai con me? Vuoi dirmi che ti ho fatto?" "Te ne vuoi andare via, vuoi andare a vivere a Milano." "Io, a Milano? Ma chi ti ha detto questa stupidata?" "L'ho capito da sola." "Io non ci credo che hai capito da sola una cosa che non esiste. Secondo me qualcuno ci ha inzuppato il pane. Forse tuo padre." "Mio padre non c'entra. Lo tiri sempre in mezzo. Lui si fa i cazzi suoi." "Tu invece no, eh?" "Perchè ho paura che te ne vai." "Senti, levati questa fissa dal cervello. Io qui ci sto bene. E' un posto meraviglioso. E poi ci sei tu. Non potrei più vivere lontano da te, capito?" "Non è vero che puzzi. Profumi di tuberosa." "Grazie tante. Però adesso devo andare a farmi la doccia." "Posso venirci anch'io?" "Ma nemmeno per sogno. Non ci voglio nessuno in bagno. Solo quando ami ci può stare il tuo amore." "Uffa, che palle, con questo amore. Posso mangiare la marmellata di ribes che hai fatto per me?" "Certo, è tua." "Posso mangiarmela tutta?" "Certo, però non lo diciamo a tuo padre se no mi rompe i fondelli." "E posso dormire con te stasera?" "Certo che puoi, ma devi avvertire quel tetragono del tuo papà." "Lo vedi? Perchè dici le parolacce a mio padre?" "Tetragono non è una parolaccia, significa solo uno che rompe le palle." "Ma se dormo qui tu non parli con me perchè te ne stai al computer." "Soltanto dopo che ti sei addormentata." "Tu scrivi sempre. Non scrivi mai di me." "Lo sto facendo adesso, amore." "Senza computer?" "Prima si scrive nella testa, e poi si passa tutto al computer." "Comunque me lo hai promesso, aspetti prima che mi addormenti." "Promesso, amore mio."

venerdì, ottobre 05, 2007

NAPOLI CHE MUORE (94): La lettera.

Ho letto sul Corriere della Sera che Daisy, una bassottina, durante una passeggiata col suo padrone sulla spiaggia di Dunwich, nel Suffolk, ha ritrovato un osso di mammut.
.
.Ora, a parte tutte le considerazioni che ci sarebbero da fare sul ritrovamento di un reperto appartenuto ad un essere vivente, effettuato da un altro essere vivente milioni d'anni dopo, giunto sino a lui attraverso tutta una serie di cause-effetti , difficili da mettere a punto, ma facilmente supponibili se inserite nello spazio-tempo, non ho potuto fare a meno di ricordare un altro ritrovamento, questa volta effettuato a cura di quel manigoldo del mio cane bassotto Tebaldo, nella mia casa di Napoli.

.M'è venuto incontro, un giorno, con una lettera in bocca, un po' mangiucchiata, che ho dovuto rimettere in ordine con lo scotch, una lettera ancora chiusa e indirizzata a me che non avevo mai visto, una lettera d'amore scritta anni addietro che adesso mi pesava sul cuore molto più di quell'osso di mammut, giunta a me troppo tardi, come se ci avesse messo, appunto, milioni d'anni per raggiungermi e svelarmi una verità che avrebbe potuto rendermi immensamente felice.
E non saprò mai dove quel lazzarone sia andato a scovarla.

giovedì, ottobre 04, 2007

NAPOLI CHE MUORE (93): La goccia d'acqua.

da:"Tra Dio e il cosmo" di Raimon Panikkar - dialogo con Gwendoline Jarczyk. ed. Laterza.

"...Il tempo come tale è una realtà che esprime e che segna una continuazione dell'individuo. Ho trovato un esempio che può forse convincere qualcuno; si tratta di una metafora che ho ritrovato un po' dappertutto, nelle letture persiane, indiane, cristiane, ebraiche: quella della goccia d'acqua. Noi siamo gocce d'acqua. Che cosa ne è della goccia d'acqua quando muoio? La goccia scompare. Cade nel pèlagos infinito. Scompari? Ma che cosa sei tu, in realtà, la goccia d'acqua oppure l'acqua della goccia? Durante la nostra vita mortale, noi dobbiamo realizzarci come acqua, e non soltanto come goccia. La goccia è il luogo delle mie lotte, delle mie cadute e delle mie vittorie -di tutto quello che mi causa gioia e sofferenza in forma immediata. Ma se mi realizzo in maniera AUTENTICA, se sono all'ascolto della realtà che sono in profondità, io sono acqua. Che cosa accade dell'acqua quando la goccia cessa di esistere? Niente. Essa non cessa di essere quello che è. La goccia cade nel mare, ma l'acqua tuttavia non scompare, Quest'acqua, certo, non posso più differenziarla dall'esterno; ma, vissuta dal di dentro, se così posso dire, quest'acqua non cessa di essere acqua -la "mia" acqua, l'acqua che io sono. Quest'acqua è unica. Nessun pericolo di dissolvermi. E' qui il mistero della personalità, che non va confusa con l'individualità".
.
.(Raimon Panikkar è stato ordinato sacerdote nel 1946).

mercoledì, ottobre 03, 2007

NAPOLI CHE MUORE (92): Se abbiamo un cuore o un'anima

multimedia - LASTAMPA.it clicca qui


Se abbiamo un cuore o un'anima, se siamo ancora umani e non soltanto poveri ultimosauri, se crediamo in Dio o non ci crediamo, se siamo probi od abbietti, casti o viziosi, col quattrino o senza, felici o disperati, soli nella moltitudine o accompagnati nella solitudine, se abbiamo un nome o siamo figli di nessuno, e se i figli li abbiamo o siamo senza,


NON RESTIAMO INDIFFERENTI A CIO' CHE ACCADE IN BIRMANIA

NAPOLI CHE MUORE(91): Le Chant des sirènes

Estratto da:"Il silenzio delle sirene". di Jacqueline Risset.

"Le chant des sirenes"
"La prima parte di Le livre à venir, del 1959, testo centrale nell'opera di Blanchot, è annunciata in quarta di copertina come Le chant des sirènes (le secret de l'écriture). Ma nel libro il "segreto" è scomparso. Il primo capitolo, consacrato al commento dell'episodio dell'Odissea, ha per titolo La rencontre de l'Imaginaire ed è costituito da un breve testo del 1954, che sarebbe stato fondamentale per generazioni di lettori, Le Chant des sirènes. Blanchot trasforma la sua lettura di Omero e di Kafka (che qui non viene mai nominato) in una meditazione sulla scrittura. Il nodo dell'incontro tra Ulisse e le sirene diviene la scrittura:
.
.Le sirene: sembra in effetti che cantassero, ma in un modo che non soddisfaceva, che lasciava solo intendere in quale direzione si aprivano le vere fonti e la vera felicità del canto. Tuttavia, con i loro canti imperfetti che non erano ancora che un canto a venire, guidavano il navigatore verso uno spazio in cui il canto sarebbe iniziato veramente (...) uno spazio in cui la musica stessa sarebbe scomparsa.

Qual era dunque la natura del canto delle sirene? Secondo Blanchot, nel far sospettare "L'inumanità segreta di ogni canto umano (...). Era esso stesso una navigazione, che giungeva a poco a poco al silenzio". Le sirene sono state vinte da Ulisse, ma "nascoste nell'Odissea che è la loro tomba", costringono ormai Ulisse a intraprendere la navigazione meravigliosa, ovvero il racconto. Tuttavia, il racconto non è la relazione dell'evento. E' l'evento stesso: ascoltare il canto delle sirene vuol dire "da Ulisse diventare Omero".

(appunti per il mio romanzo vero)

lunedì, ottobre 01, 2007

NAPOLI CHE MUORE (90): A-d-Dio

"Si era dileguato senza far rumore. Quando riuscii a raggiungerlo camminava deciso, con un passo rapido. Mi disse solamente:"Ah, sei qui..." E mi prese per mano.
.Ma ancora si tormentava:"Hai avuto torto. Avrai dispiacere. Sembrerò morto e non sarà vero..."
.Io stavo zitto.
."Capisci? E' troppo lontano. Non posso portare appresso il mio corpo. E' troppo pesante".
.Io stavo zitto.
."Ma sarà come una vecchia scorza abbandonata. Non sono tristi le vecchie scorze..."
.Io stavo zitto.
.Si scoraggiò un poco. Ma fece ancora uno sforzo:
."Sarà bello, sai. Anch'io guarderò le stelle. Tutte le stelle saranno dei pozzi con una carrucola arrugginita. Tutte le stelle mi verseranno da bere..."
.Io stavo zitto.
."Sarà talmente divertente! Tu avrai cinquecento milioni di sonagli, io avrò cinquecento milioni di fontane..."
.E tacque anche lui perchè piangeva.
."E' là. Lasciami fare un passo da solo".
.Si sedette perchè aveva paura.
.E disse ancora:
."Sai... il mio fiore... ne sono responsabile! Ed è talmente debole e talmente ingenuo. Ha quattro spine da niente per proteggersi dal mondo..."
.Mi sedetti anch'io perchè non potevo più stare in piedi. Disse:
."Ecco, è tutto qui".
.Esitò ancora un poco, poi si rialzò. Fece un passo. Io non potevo muovermi.
.Non ci fu che un guizzo giallo vicino alla sua caviglia. Rimase immobile per un istante. Non gridò. Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure rumore sulla sabbia".

da:"Il Piccolo Principe" di Antoine De Saint-Exupery.

Questo libro è il mio prediletto, e vive, insieme al Vangelo, sul mio comodino.

Avviso ai naviganti: Io non cerco nessuna relazione. La mia unica relazione è con Dio