venerdì, novembre 03, 2006

NAPOLI CHE MUORE (2)



Non ricordo più la via per la quale Svetlana, che intanto aveva italianizzato il suo nome in Lucia, è entrata nella mia vita (o forse l'ho soltanto sognata che è lo stesso).
Quando la ebbi di fronte capii immediatamente quanto fosse tosta, determinata, piena di iniziative, incorrotta e a disagio, e le proposi subito di trasferirsi da me.
"Lei è russa?"
"No, io non essere russa."
"Mi scusi, ma non viene dall'ex-unione sovietica."
"Ben sicuro. Ma non russa. Io Caucaso, non russa."
"Ma appartenete allo stesso Stato."
"Stesso Stato non essere stessa razza. Russia molte razze, grande Paese, non come Italia. E non tutte razze buone."
"Ma allora lei è razzista."
"Io non razzista. Io non nazista, io democratica ex-comunista."
"Capisco."
"No, voi non capire. Italiani non capire. Nemmeno comunisti italiani capire. Ma voi persona intelligente e voi con tempo capire."
Mi aveva narrato che aveva trovato alloggio presso un'anziana ucraina che fittava i posti letto, la obbligava a fare solo una lavatrice a settimana a non più di 40 gradi, eliminando dal programma la centrifuga che accorcia la vita dell'elettrodomestico. Questa diabolica ucraina s'era fatto costruire dal marito un timer nell'erogazione del gas, per cui le operazioni culinarie non potevano durare più di venti minuti, e lo stesso valeva per l'acqua calda. In più, la invitava ogni giorno a rubare un po' di detersivo per i piatti nelle case in cui lavorava diluendo il rimanente con un po' d'acqua.
"Ucraina non onesta." dichiarò.
"Va bene. Lei però si faccia restituire i soldi che le ha dato in acconto deposito."
"No, no, lei non mi dare, io lascio tutto."
Questa sua prodigalità m'era piaciuta perchè nel mio bagaglio genetico c'era un po' di mania di grandezza proveniente da alcuni dominatori spagnoli miei antenati.
Fu così che lei si sistemò in casa mia.
All'inizio agiva con prudenza tenendomi sotto osservazione. Nonostante i soviet l'avessero educata all'egualitarismo non riusciva a mettere a fuoco quali fossero le sue funzioni nella mia vita. Quando rientrava la sera stracca di lavoro e trovava la sua camera in ordine, la tavola apparecchiata e la cena pronta non ci provava nemmeno a diminuire astutamente l'entusiasmo, ma restava poi perplessa a chiedersi in quale regioni della mia mente si nascondessero i motivi di quell'accoglienza. E si aspettava da un momento all'altro qualche richiesta che non aveva saputo prevedere.
Io, per conto mio, facevo di tutto per farle capire che non avevo bisogno di compagnia e che mi piaceva molto stare sola tutto il giorno a lavorare a casa.
Lei usciva molto presto la mattina, caricava per le cinque e mezza la piccola sveglia che le avevo regalato, e alle sei e mezza era già fuori nell'aria ancora buia.
Non sempre mi svegliavo quando se ne andava, ma una mattina mi accorsi che s'era affacciata nella mia canmeretta e che, essendomi addormentata col televisore acceso mentre trasmettevano un dibattito politico, adesso avevano mandato in onda un film porno. Restammo a guardarci imbarazzate davanti a quei culi, a quelle tette e a quei piselli. Io sapevo che ancora non si fidava di me, perciò non diedi spiegazioni.
Lei però, pur essendo una grande moralista, accennò un sorriso di falsa complicità.
"Erotismo,eh?"
"No, pornografia."
"Voi piacete questo?"
"No, no, stasera le spiego."
Spensi il televisore e lei fuggì al lavoro.
Quando rientrava mi narrava di tutti gli uomini single per cui lavorava, e di tutte le proposte che riceveva da quelli che volevano espandere le sue mansioni domestiche. Erano così ridicoli quegli uomini che proponevano pizze, profumi, fine settimana.
"E lei che dice?"
"Io non parlare perchè onesta e non zoccola."
"Allora deve dire che lei non fa lavatura e stiratura." E le mostrai il grande gesto che faceva Totò in uno dei suoi film. Così si beccò due subitanei licenziamenti. Ma non me ne volle perchè si stava tranquillizzando sulle mie intenzioni e cominciava a considerarmi un po'la sua famiglia.
Dopo cena trascorreva un'ora china su un quaderno sul quale riportava tutte le parole che aveva udito durante il giorno e che aveva annotato su foglietti. Andava a cercarsele sul vocabolario, un vecchio volume che aveva portato dalla Russia, stampato nell'800, che riportava parole italiane e frasi idiomatiche ormai in disuso, e dopo averle tradotte le trascriveva.
Ammiravo la sua diligenza, anche se scoppiavo a ridere quando dandomi del voi mi diceva:
"Sentite, a dirla franca, quello uomo depravatore che ha visto miei denti d'oro."
Prima di partire s'era infatti curata i denti e si era fatta sistemare due capsule d'oro, convinta che fossero un segno di prestigio. Questo naturalmente succedeva anche in Italia, ma all'epoca dei miei nonni.
"Però lui vuole fidanzamento."
"Che tipo di fidanzamento?
"Fidanzamento è fidanzamento. Sposare e fare famiglia."
"Ma è una cosa sicura?"
"Molto sicura. Lui vuole conoscere voi per chiedere mia mano. Perchè voi siete mia famiglia italiana. Voi dovete preparare bella cena di fidanzamento."
Fu così che conobbi Salvatore. Era un napoletano piuttosto tradizionale, molto ben educato, di origini modeste, Lucia mi aveva detto "ch'era figlio di operai comunisti ma non come soviet". Arrivò in cravatta, stipato in un completo blu che gli andava un po' stretto.
Subito capii che avevo sbagliato con le mie crudité, perchè Salvatore aveva tutta l'aria di un pastaiolo convinto, del resto il mio cane aveva già provveduto a leccarsi tutto l'olio delle scodelline sulla tavola.
Un Salvatore amabile e molto timido che mi porse con imbarazzo un gran mazzo di fiori, e sedette in silenzio.
Parlai io facendo la mia parte.
"Dunque lei vuole sposare Lucia."
"Sì."
"E' già stato sposato?"
"No."
"Vive da solo?"
"No, con mia madre"
"E sua madre lo sa?"
Si agitò un po' sulla sedia.
"Non ancora."
Intervenne Lucia con la sua faccia mongola, gli zigomi alti, e il sorriso d'oro.
"Lui dice tempo al tempo."
"Quanti anni ha?"
"Quarantuno."
"Non ci sono problemi?"
"Per me no. Perchè lui non alcolista e non puttaniero."
Erano i due problemi sovietici che l'avevano costretta a divorziare da due mariti.
"E dove contate di sposarvi?"
Lui lo disse come se tutto dovesse avvenire sul pianeta Marte.
"In Russia."
"E perchè in Russia?"
Lucia disse in fretta:
"Perchè in mio paese è tutto più facile." Aveva già messo in atto il suo grande spirito di iniziativa.
"Ma è valido poi il matrimonio in Italia?"
"Voi dire minchionaggini" ah, quel suo vocabolario! "Noi sposare ambasciata italiana a Mosca."
"Bene, bene. Allora festeggiamo." E aprimmo una bottiglia di spumante.
Ma quando Salvatore si congedò, lei mi guardò col suo sguardo obliquo che le aveva lasciato Gengis Khan e disse:
"Lui vuole toccare me in macchina. Ma non avere diritto. Perchè lui non essere mio amatore, ma solo fidanzato. Se non vi piacere a voi Salvatore, io non me lo sposare."
Passai tutto il resto della serata a farle capire le ragioni, molto approssimative, per cui uno dovrebbe sposarsi. E mentre le passavo le informazioni che pretendono di dirigere la nostra vita, lei mi seguiva compunta, grata e anche terribilmente sprovveduta, dato che i soviet certe cose non gliele avevano spiegate, e adesso era giunto il momento di smaliziarsi un po', perchè quel Salvatore lì, ch'era sicuramente un pezzo di pane, avrebbe tirato fuori tutte le richieste che sua madre aveva soddisfatto, lungo una vita familiare di sacrifici e di rinunce.
E mentre glielo spiegavo Lucia annuiva col capo.
"Anche Caucaso essere così. Napoletani come gente di Caucaso. Donne come schiave."
"E allora perchè te lo vuoi sposare? Il permesso di soggiorno ce l'hai già."
"Voi non capite. Io lavorare dieci anni in Siberia. Siberia è bellissima, ma uomini tutti alcolisti e puttanieri. Io bisogna famiglia. Salvatore ha dolci occhi neri."
E mentre sovrappensiero viaggiavo nei gulag della Siberia assiderata in tutti quei gradi sottozero, lei improvvisamente cominciò a cantare oci ciornia tirando fuori una possente voce di soprano, e mi ritrovai al calduccio di tutto il bene che già le volevo.

(continua)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

molto comunicativo e diretto

Anonimo ha detto...

Le difficoltà che uno ha dovuto affrontare nella vita dipendono da quanto uno ha da dire e da come lo si dice...La crudezza e l essenzialità del linguaggio dovrebbe farci capire che ueuè di difficoltà ne ha affrontate tante, ma può ben dire di aver vissuto davvero per le esperienze che si porta dentro...Un po di verità non fa mai male!Aspetto altri racconti!

Anonimo ha detto...

Conoscevo una storia simile , e l'ho riletta in questo racconto. Tutto ciò manifesta una grande sensibilità ed una grande capacità d'amore, certamente da ciascuna delle due parti.
E' molto bello manifestare amore nei confronti di chi é a noi vicino ed ancora più bello é manifestare amore nei confronti di chi , anche velatamente, cerca questo sentimento in noi.
L'amore esprime la sua grandezza in ogni piccolo gesto, in una semplice carezza, in una parola detta in un momento particolare, e manifestare amore é anche
" organizzare una cena di fidanzamento " per qualcuno che, a noi vicino, considera noi, pur estraneo, la "sua famiglia italiana ".
Come sarebbe bello se in ciascuno di noi potesse trasparire, pur se saltuariamente, un piccolo gesto d'amore !
A presto risentirci