venerdì, novembre 02, 2007

NAPOLI CHE MUORE (119): Più in là del giardino.

In un piccolo libro:"Diario di un dolore", ed. Adelphi, lo scrittore cristiano C.S. Lewis, a pochi giorni dalla scomparsa della moglie che amava moltissimo d'un amore vigoroso e completo, annota la grande, e direi inevitabile, crisi che subentra nel suo rapporto con Dio, pur mantenendo salda la propria fede. Direi che anzi, proprio a causa di tale saldezza, dà inizio ad un attacco molto simile alle lettere degli innamorati che si sentono respinti, nelle quali sono loro stessi a porre le domande e a darsi le risposte, attacco che trasformerà la nigredo del suo dolore nell'albedo della sublimazione, per poi condurlo, verso la fine dei suoi giorni, alla compiutezza di tutta l'Opera, eminentemente cristiana, che è l'unione con Dio.

"La cosa terribile è che, sotto questo aspetto, un Dio perfettamente buono non incute meno paura di un Sadico Cosmico. Più siamo convinti che Dio ci fa soffrire solo per guarirci, meno credibile ci sembra che implorare di non far male serva a qualcosa. Un uomo crudele lo si potrebbe corrompere, potrebbe stancarsi del suo infame passatempo, potrebbe avere la sua parentesi di misericordia, come un alcoolizzato ha le sue parentesi di sobrietà. Ma mettiamo invece di aver a che fare con un chirurgo che ha a cuore solo il nostro bene. Più sarà buono e coscienzioso, più sarà inesorabile nel tagliare...Che cosa vogliono dire quelli che proclamano:-Non ho paura di Dio perchè so che Dio è buono? Non sono mai stati da un dentista?"

Il pericolo di certo cristianesimo contemporaneo è costituito da coloro che, in virtù di ciò che essi ritengono essere la loro fede, puntano il dito del giudizio e si mettono a fare i chirurghi, senza la minima sapienza di ciò che può far bene o male ad un altro. Questa sorta di dio- fai- da-te, sta sorgendo come funghi, in nome di un cristianesimo del tutto aberrato,
e trova spazio in una società che ha perso la fede conservando tuttavia un inconscio bisogno di punizione.

"E poi uno dei due muore. E noi lo vediamo come un amore interrotto; come una danza arrestata a metà giravolta, o un fiore con la corolla miseramente strappata: qualcosa di troncato, e quindi privo della sua giusta forma. Ma è così? Se, come non posso fare a meno di sospettare, anche i morti sentono i tormenti della separazione (e questa potrebbe essere una delle loro pene purgatoriali), allora per entrambi gli amanti, e per tutte le coppie di amanti, senza eccezioni, la perdita dell'altro è una parte universale e integrante dell'esperienza dell'amore...Non è un troncamento del processo, ma una delle sue fasi; non è l'interruzione della danza, ma la figura successiva. Noi siamo "tratti fuori di noi" dall'amata fintanto che essa è qui. Poi viene la figura tragica della danza, nella quale dobbiamo imparare ad essere ugualmente tratti fuori di noi, anche se la presenza corporea è stata tolta, dobbiamo imparare ad amare Lei, e a non ripiegare sull'amore del nostro passato, o del nostro ricordo, o del nostro dolore, o del nostro sollievo dal dolore, o sull'amore del nostro stesso amore".

Ed è questo che io chiamo alchimia, anche in un amore travolto dalla contingenza, una guerra, un trasferimento inevitabile, un legame precedente indissolubile, e non necessariamente dalla morte.
Ed è a causa di questa mia convinzione che sono stata presa a calci, accusata d'eresia, e persino malamente cacciata dal luogo in cui uno di questi lupi, travestiti da agnelli di Dio, lanciano i loro anatemi e le loro condanne.
Senza che questo, tuttavia, per mia buona sorte, abbia minimamente disturbato la mia fede e il mio amore, ancora più in là del giardino prospettatoci da Lewis.

6 commenti:

embè ha detto...

Che rientro alla grande Ueuè!
Quanto mi sei mancata!
Il tuo post è un balsamo in un giorno grigio e triste come questo.

Anonimo ha detto...

Guarda, anche se uno non ci crede alle cose che scrivi e che proponi, sicuramente leggerti fa bene. Io non ci credo in Dio, ma auspico una civiltà in cui ci siano i valori che proponi, per quanto possano apparire mera utopia.
In realtà siamo tutti stanchi e sconquassati, e, più che di nerbate e di vizi, avremmo bisogno di carezze, per imparare ad amare come dici tu.
Ma se l'amore è stato sostituito dallo sfogo del piacere, tu sei una pazza, ed io un velleitario.

miro ha detto...

E' quasi un anno che ti seguo, Ueuè, e posso dire che ormai fai parte della mia vita, insieme alla donna che amo e ai gabbiani.
E' troppo facile per uno che ha fatto le mie scelte dire che sono d'accordo con te.
Forse è più semplice dirti grazie ed inviarti un bel bacione.

Anonimo ha detto...

Tu fai bene al cuore. Anche a quello malato come il mio.

cazzandra ha detto...

Ci sei mancata vagabonda. Forse ci avevi abituati male. Il tuo ruolino di marcia era forsennato.
Il post di oggi è molto bello.

giordano ha detto...

Anche io preferisco questo Lewis a quello della Saga. Aderisco alle tue osservazioni.